Contro il rito dei botti di fine anno, oltre un migliaio di ordinanze di sindaci, tanti appelli dalle associazioni animaliste e dal comune di Torino anche un no definitivo, stabilito dal nuovo regolamento di tutela degli animali.
I sindaci snocciolano i numeri di morti e feriti lasciati sul campo nei festeggiamenti degli ultimi quattro anni (7 morti, 1.600 feriti di cui 333 bambini sotto i 12 anni), invitando a salutare il 2013 senza petardi, micce e miccette e trick e track. Gli animalisti chiedono rispetto per le popolazioni di selvatici e domestici, totalmente indifese contro i botti. L’onorevole Michela Brambilla, a nome della Federazione italiana associazioni diritti animali, lancia un ultimo accorato appello ai Comuni che ancora non si sono espressi: «Vietateli, sono un pericolo per uomini e animali». Perché non seguire l’esempio di Venezia, Torino e Bari e decine di realtà più piccole, da Vado Ligure ad Agropoli, che come lo scorso anno riprovano a limitare i giochi pirotecnici con divieti e sanzioni? A Bologna l’ordinanza anti botti è in vigore già dalla vigilia di Natale e per il veglione in piazza Maggiore è stato bandito anche l’uso di bevande in contenitori di vetro e lattine.
Perché tra i tanti riti di passaggio all’anno nuovo non accontentarsi di un bacio sotto al vischio, di vestirsi di rosso, di mangiare lenticchie e uva passa? C’è una strage che si ripete ogni anno, impossibile da quantificare ma non per questo meno reale e drammatica: è quella tra i volatili. Tra gli animali selvatici, sono gli uccelli le prime vittime del primitivo rito dei fuochi sparati nel cielo per allontanare le forze del male nella notte di San Silvestro. «Trovano riparo e ristoro dal gelo dell’inverno nei giardini e nei cortili dei palazzi e, poi, rischiano di morire schiantandosi contro pali della luce, muri, vetri», spiega Massimo Vitturi, responsabile settore caccia e fauna selvatica della Lav. Possono morire di crepacuore, come conigli, criceti e piccoli mammiferi che non sono in letargo. «Gli uccelli diurni la notte dormono su trespoli, grondaie e svegliati dai botti si danno alla fuga, come ogni preda, e sono facili vittime, perché non hanno una vista adattata all’oscurità — aggiunge Ermanno Giudici presidente Enpa nel capoluogo lombardo —. Ma accanto al danno immediato alla fauna selvatica, esiste un danno secondario che è quello degli incendi che un fuoco d’artificio può causare se sparato in luogo aperto dove ci sia poca neve e molto secco, anche in inverno». A chi ancora non ha fatto scorta di petardi l’ex ministro Brambilla raccomanda: «Non rischiate di rovinarvi la festa, potrete spendere i vostri soldi per una causa migliore». Poi, conclude: «Dove i botti sono ancora permessi è importante prendere qualche precauzione per tutelare gli animali domestici, in genere più sensibili di noi ai rumori. Ci sono poche ma semplici regole da seguire».
Raccolte in un vademecum sul sito www.nelcuore.org. Tra gli animali domestici è il cane quello più a rischio. Perché «qualunque emozione umana che trapela sempre e comunque nelle nostre espressioni facciali, corporee e comportamentali — spiega l’educatore cinofilo Daniele Mazzini — viene comunicata ai nostri animali, ed in particolare al cane». Una carezza, un gesto, una parola non servirà a rassicurarlo ma «a confermare quello stato d’ansia». In casa, bene ridurre l’evento acustico e luminoso causato dai fuochi. «Lasciate poi che l’animale s’infratti nei pertugi della casa. Non seguitelo né cercate di vedere cosa sta facendo. Già questo sarebbe indice della vostra ansia — conclude l’esperto —. Le nostre fobie vengono subito trasmesse e immagazzinate dall’animale come comportamento idoneo alla sopravvivenza».
Dal veterinario, infine, un consiglio: «Non lasciateli soli, neppure in casa — dice Cinzia Cortelezzi —. E se per i botti vanno letteralmente nel panico, esistono anche rimedi omeopatici, parafarmaci per cani e gatti che sono l’equivalente di una tisana calmante per noi, i fiori di Bach come antistress fino a farmaci che richiedono la ricetta dello specialista per i casi estremi».
Paola D’Amico – Il Corriere della Sera – 29 dicembre 2012