I giudici della Corte d’Appello di Torino hanno fissato un precedente che potrebbe fare scuola. In due sentenze, emesse nelle scorse settimane, hanno accolto il ricorso di due insegnati, precari di lungo corso, con un’infinità di contratti a tempo determinato alle spalle
La buona notizia è che la Corte d’appello di Torino, prima in Italia, ha stabilito che un insegnate precario, assunto ogni anno a settembre e licenziato a giugno, ha diritto a vedersi riconosciuti gli scatti d’anzianità. La cattiva – perché in questa storia c’è anche una cattiva notizia che rischia di vanificare tutto – è che l’esercito dei precari della scuola, 240 mila in Italia, potrebbe aver soltanto una settimana di tempo per far valere le proprie ragioni.
Di sicuro c’è che i giudici di Torino hanno fissato un precedente che potrebbe fare scuola. In due sentenze, emesse nelle scorse settimane, la Corte d’Appello ha accolto il ricorso di due insegnati, precari di lungo corso, con un’infinità di contratti a tempo determinato alle spalle. Che cosa hanno deciso i giudici? In sostanza che non è possibile essere assunti a settembre, licenziati a fine giugno e poi riassunti due mesi dopo, e andare avanti così per anni, come se fosse sempre la prima volta, senza progressioni di stipendio né scatti d’anzianità. E hanno condannato lo Stato a regolarizzare la posizione dei due prof, entrambi con vent’anni di servizio e una quarantina di contratti sul groppone.
I due, assistiti dall’avvocato Luca Angeleri, insieme con Elisabetta Munaron e Chiara Carità, si sono visti riconoscere otto scatti e hanno incassato circa 25 mila euro di arretrati a testa, senza contare lo stipendio «maggiorato» che riceveranno d’ora in poi. Avevano anche chiesto il pagamento dei mesi estivi – luglio e agosto – e il risarcimento del danno procurato dall’abuso della reiterazione dei contratti. La prima richiesta è stata accolta in un caso ma non nel secondo; per l’altra il giudizio è sospeso, visto che sul tema pende un ricorso alla Corte Costituzionale.
In ogni caso si tratta di un precedente destinato a lasciare traccia e forse a mettere fine a un’anomalia tutta italiana più volte stigmatizzata dall’Unione europea. In Italia esistono supplenti di diritto – che occupano cattedre vacanti con contratti che vanno dal primo settembre al 31 agosto – e supplenti di fatto, che sostituiscono personale temporaneamente assente e perciò vengono contrattualizzati soltanto fino al 30 giugno. L’anomalia risiede nel fatto che le due tipologie ormai sono sovrapponibili: i supplenti di fatto occupano cattedre vacanti, però guadagnano meno dei loro colleghi. Lo Stato risparmia sui loro scatti e su due mensilità estive. E dire che gli scatti non sono poca cosa: 2,5 per cento per ogni biennio di servizio in cui si sia lavorato almeno per 180 giorni.
In Italia i ricorsi sono ormai centinaia. La sentenza di Torino ha aperto un varco, tanto che in questi giorni l’avvocato Angeleri è sommerso dalle chiamate di colleghi che s’informano, vogliono capire. Del resto, che la faccenda potesse trasformarsi in una caporetto per lo Stato e le sue casse vuote si era capito da tempo, tanto che il governo Berlusconi era corso ai ripari inserendo una norma nel collegato lavoro che rischia di bloccare l’ondata di ricorsi. La legge è entrata in vigore il primo gennaio, e stabilisce che chiunque voglia impugnare un licenziamento che considera ingiusto ha tempo 60 giorni dalla fine del contratto o, per i casi pregressi, 60 dall’entrata in vigore della norma. In teoria, i 250 mila precari della scuola che volessero rivalersi sulla scia dei due insegnanti torinesi potrebbero avere solo una settimana di tempo per rivolgersi a un giudice.
La Stampa – 19 febbraio 2012