Il primario di un’Azienda sanitaria che si assenti in orario di lavoro senza timbrare l’uscita, per svolgere attività extramoenia, rischia comunque la condanna per truffa aggravata anche se alla Asl venivano comunicate le prenotazioni relative alla sua attività da libero professionista. Così la Corte di cassazione con la sentenza n. 6280/2017, depositata il 9 febbraio, ha smentito il ragionamento del Gup che aveva escluso in radice il dolo dell’imputato in ragione del fatto che la mancata segnalazione delle uscite dal servizio non integrava la volontà di indurre in errore il datore di lavoro pubblico, che ne era per altra via informato.
La smentita del Gup
La Cassazione accoglie il ricorso dell’Azienda sanitaria e annulla senza rinvio la sentenza emessa al termine dell’udienza preliminare, con conseguente trasmissione degli atti al tribunale per l’avvio del dibattimento nel giudizio di primo grado. L’Asl, costituitasi contro il medico “infedele” parte civile, ha sostenuto con successo che non mancavano del tutto gli elementi sufficienti a sostenere l’accusa di truffa aggravata. Il Gup avrebbe, quindi, travalicato il proprio potere giurisdizionale sconfinando nel merito e ritenendo totalmente scriminante del reato il fatto che l’Asl avesse, in generale, conoscenza delle attività extramoenia svolte dall’imputato. Per la Cassazione tale constatazione non è, infatti, sufficiente a negare che il primario, non segnalando puntualmente le singole uscite dalla struttura pubblica, inducesse in errore il proprio datore di lavoro sulla sua presenza in ospedale.
La retribuzione indebita
Ed è difficile supporre che il medico primario, con qualifica di dirigente, non fosse comunque conscio di percepire una retribuzione per ore lavorative mai effettuate all’interno del servizio sanitario pubblico. Inoltre, la Cassazione individua come punto di irragionevolezza della decisione di non luogo a procedere del Gup l’affermare che l’Asl pur essendo a conoscenza della condotta illecita del primario gli corrispondesse poi puntualmente l’intera retribuzione. Al contrario, secondo l’azienda, il medico avrebbe semplicemente approfittato della mancanza di controlli interni e, soprattutto, del mancato coordinamento di informazioni tra gli uffici per ottenere un’indebita retribuzione attestata sulla scorta della non veritiera rilevazione automatica, da cui le sue assenze, appunto, non risultavano. Il Gup si è fondato esclusivamente sulla conoscenza all’interno della struttura pubblica della coincidenza delle assenze per attività libero professionali con l’orario di lavoro ospedaliero. E, invece, come rilevato dalla Cassazione il Gup non ha, in conclusione, tenuto in debito conto gli ulteriori elementi a sua disposizione forniti dalla parte civile: totale assenza di controlli., mancata trasmissione di report giornalieri e le «asimmetrie informative tra i diversi uffici». Tutti elementi che potevano in dibattimento in connessione con le rilevanze testimoniali incidere sulla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo del reato di truffa aggravata.
Il Sole 24 Ore sanità – 10 febbraio 2017