Nel ricorso proposto contro la pronuncia della Corte territoriale, l’imputato aveva sostenuto che quest’ultima non avrebbe tenuto in conto che «la visita domiciliare rappresenta soltanto uno delle opzioni attraverso le quali il medico in continuità assistenziale può adempiere al suo dovere» e che la paziente non necessitava di una visita urgente in quanto un secondo medico che si era recato dalla paziente aveva confermato il “codice bianco” assegnato dal centralista del Servizio 118.
Tesi che non ha colto nel segno. Il Supremo Collegio ha rilevato che l’art. 3, comma 3, dell’ “Accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale” stabilisce che «il medico è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che siano chiesti direttamente dall’utente […] entro la fine del turno al quale è preposto», che il “Manuale per il medico di continuità assistenziale” precisa che «il medico deve valutare sotto la propria responsabilità l’opportunità di fornire un consiglio telefonico, recarsi presso il domicilio, invitare l’assistito a recarsi presso l’ambulatorio» e, infine, che l’imputato «non si fosse nemmeno prestato ad un consulto telefonico».
Da qui la sentenza in narrativa che conferma l’orientamento secondo cui:
– la violazione dell’interesse tutelato dall’art. 328 cod. pen. ricorre ogni qual volta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall’ordinamento , prescindendosi dal concreto esito della omissione, atteso che l’omissione di atti di ufficio ha natura di reato di pericolo (Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 21631 del 4 maggio 2017);
– ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del delitto di omissioni di atti d’ufficio, è necessario che il pubblico ufficiale abbia consapevolezza del proprio contegno omissivo, dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento “contra ius”, senza che il diniego di adempimento trovi alcuna plausibile giustificazione (Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 36674 del 10 settembre 2015);
– l’esercizio del potere dovere del medico di valutare la necessità della visita domiciliare è pienamente sindacabile da parte del giudice sulla base degli elementi di prova acquisiti (Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 43123 del 20 settembre 2017; Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 23817 del 30 ottobre 2012: la guardia medica alla quale venga richiesta la visita domiciliare per dolori atroci di un moribondo ha l’obbligo di recarsi in loco per verificare il rimedio più adeguato ed efficace).