Nessun crollo, ma una crescita imponente. In Umbria, in Sicilia e in dieci atenei piccoli (tra cui il Sannio) e medi (Roma Tre e Genova, per esempio) è un exploit. Le immatricolazioni all’università italiana salgono per il sesto anno consecutivo. E salgono in una stagione, l’Anno accademico 2020-2021, difficile per ragioni cliniche e l’impoverimento che ne è derivato.
Contro le paure, e alcune proiezioni estive che vaticinavano una caduta del 20 per cento, gli iscritti al primo anno dei corsi di laurea triennali e a ciclo unico – registrati il primo novembre scorso – sono stati 373.261. Sono 24.635 matricole in più di un anno fa, con una crescita del 7,6 per cento: le serie storiche offerte dal ministero dell’Università e della ricerca dicono che siamo tornati ai livelli di inizio millennio.
Quest’anno le somme si fanno già a novembre, quando nelle stagioni normali si attendeva la primavera. L’eccezionalità della crisi ha portato il ministro Gaetano Manfredi a chiedere un anticipo i dati per controllare come le famiglie italiane avessero risposto alla crisi. «Il risultato è positivo a livello nazionale», dice Manfredi. I risultati, omogenei sull’anno precedente, sono comunque sfalsati rispetto ai consuntivi che aggiungono gli immatricolati tra novembre e marzo e sottraggono i “doppi iscritti” (chi cambia università) e chi non paga le successive rette.
È interessante notare che l’incremento maggiore avviene al Sud, con ottomila nuovi studenti. La crescita è lievemente superiore allo stesso Settentrione. Le regioni che vedono l’aumento più consistente sono l’Umbria (+22 per cento) e la Sicilia (+18,8 per cento). La lettura della crescita sorprendente è questa. Una letteratura della bontà economica dell’investimento universitario, consolidata dagli studi Almalaurea, è ormai patrimonio acquisito della parte più consapevole delle famiglie italiane. Non è un caso che la crescita delle matricole sia tale dalla fine della crisi 2008-2014 ad oggi (nella stagione 2013-2014 si era toccato il pavimento storico di 252.000 iscritti al primo anno). Poi c’è stato l’impegno del ministero, che con 1,4 miliardi di in decreto Rilancio ha elevato la “no tax area” riducendo o annullando le tasse universitarie alla metà del corpo studenti e ha aumentato le borse di studio per 300 milioni totali.
A questi due fattori culturali ed economici, si è aggiunta la nuova abitudine al contingentamento degli spostamenti indotta dal Covid. E così l’idea “dell’università sotto casa” ha portato gli studenti meridionali a non emigrare a Roma o nei prestigiosi atenei del Nord e la quota delle matricole benestanti settentrionali a non emigrare nel resto d’Europa. I timori del pendolarismo hanno premiato atenei di provincia come la Tuscia (sede a Viterbo, una crescita del 56,2 per cento) e tolto risorse a università metropolitane (il Politecnico di Bari perde il 9,4 per cento). Poi ci sono motivi più locali. Il rettore dell’Università del Salento, Fabio Pollice, ricorda: «Abbiamo avuto un ottimo risultato per il nuovo corso di laurea in Ingegneria biomedica, che si inserisce nel progetto del “Salento biomedical district” e che porterà nei prossimi mesi a un nuovo corso in Medicina”.
Commenta il ministro Manfredi: «Non ci sono sostanziali differenze tra Nord e Sud e quel che conta è che ci avviciniamo, in prospettiva, all’obiettivo di raggiungere la media europea per laureati tra la popolazione. I dati rappresentano la conferma che i ragazzi e le famiglie credono ancora nel valore delle competenze mentre università e ricerca, come è emerso anche da un sondaggio di Repubblica , sono tornate al centro del dibattito politico».