Aspettare un anno per fare una banale ecografia all’addome o rimanere per sei mesi senza alcuna notizia sui tempi dell’intervento alla spalla. Il tutto mentre gli screening oncologici barcollano e dai reparti ospedalieri si alza il grido d’allarme di medici e infermieri, che sostengono di essere troppo pochi. Nella sanità italiana i problemi non ci sono solo a sud della Toscana. Anche i ricchi piangono. Il definanziamento, che tra l’altro il governo non sembra intenzionato ad arrestare viste le stime della Nadef sul rapporto tra spesa e Pil, sta facendo vacillare realtà come il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Lombardia e appunto la Toscana, cioè quelle realtà che in tempo erano definite benchmark, cioè punti di riferimento, per tutte le altre. Negli assessorati e nelle presidenze sono tutti ben consapevoli che così non si può andare avanti, che per la sanità ci vorrebbero più soldi. Per questioni politiche, però, la gran parte delle Regioni tacciono.
Rapporto spesa/Pil in discesa
Quanti soldi saranno riservati alla sanità si capirà più avanti, quando si chiuderà la manovra. Ma i segnali non sono buoni. Il ministro alla Salute Orazio Schillaci per l’anno prossimo aveva chiesto quattro miliardi in più ma se andrà bene ne arriveranno la metà o al limite due e mezzo. Nella nota introduttiva della Nadef il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti annuncia investimenti sul personale e per potenziare assistenza territoriale e ospedaliera. Ma visto che solo per i professionisti della sanità si stima una spesa di due miliardi, non è chiaro quanti altri soldi verranno messi su un settore centrale per la vita degli italiani. A preoccupare sono le stime del valore della spesa sanitaria rispetto al Pil. Se in Paesi come Francia e Germania si arriva intorno al 10%, noi per pochi anni abbiamo superato il 7%. Nel 2023 siamo al 6,6% ma la prospettiva per il 2026 è scendere al 6,1%. Un valore lontanissimo da quello richiesto da molti esperti di sanità e pure da Regioni come Emilia e Toscana, che vorrebbero salire gradualmente addirittura al 7,5%.Il disastro dei tempi di attesa
Sergio Lotti, 63 anni, di Ardenno in Valtellina nel 2020 ha donato il rene al nipote. In questi giorni aveva bisogno di un’ecografia all’addome e ha trovato posto solo nel 2024. «Bel premio a chi ha dato un organo – dice –. Per fortuna che ora mi controlleranno a Verona, dove mi hanno fatto l’espianto». A Bologna, Carlo Hanau, presidente del Tribunale della salute, ha denunciato di non trovare posto per fare una colonscopia per tutto il 2024. Anche in Toscana i problemi non mancano. Tullio, settantenne fiorentino, è rimasto sei mesi in attesa di sapere quando avrebbero operato la sua lussazione alla spalla. Dopo vari solleciti, dall’ospedale di Careggi gli hanno detto chenon erano in grado di dargli una data. Nello stesso ospedale solo un intervento su tre per tumore alla prostata viene fatto entro 30 giorni, il limite massimo di tempo indicato dal ministero. Sempre a proposito di chirurgia, a Bergamo, un uomo è in attesa già da sei mesi dell’intervento di cataratta e dovrà aspettare un altro anno. La segnalazione è arrivata al Pd lombardo, che ha creato il sito
conlasalutenonsischerza.it. Una donna, inoltre, ha raccontato di aver chiamato il San Gerardo di Monza il 25 settembre scorso per fare una mammografia. Le hanno dato come prima disponibilità il novembre 2024. Ovviamente, per superare tutti i problemi legati alle attese basta pagare. E infatti il privato lavora sempre di più.
La crisi degli screening
Uno degli indicatori della qualità dell’assistenza sanitaria sono gli screening oncologici. Le Regioni chiamano le persone appartenenti a determinate fasce di età per proporre esami per prevenire il cancro della cervice uterina, quello della mammella e quello del colon retto. Ebbene, i dati del 2022, che a breve saranno resi pubblici, rivelano gravi problemi anche in questo settore. Il confronto va fatto con i numeri del 2018, cioè prima del Covid. Per quanto riguarda la cervice, ad esempio, l’Emilia è scesa dal 91% al 65% di copertura. La Lombardia è migliorata, ma aveva valori bassissimi e infatti è passata dall’11 al 20%. È molto pesante il passo indietro sulle mammografie. La Lombardia nel 2018 era al 60% di copertura e l’anno scorso è scesa al 50%. L’Emilia è passata dal 70 al 67%, la Toscana dal 65 al 58%. Stabile il Veneto (dal 61 al 60%) ma in un settore nel quale bisognerebbe crescere. Restando al Nord, il Friuli è sceso dal 60 al 54% e il Piemonte dal 55 al 42%. Brutti dati anche per il colon-retto. Il Piemonte scende dal 54 al 47%, la Lombardia dal 45 al 43%, il Veneto dal 59 al 56%, il Friuli dal 56 al 49%, l’Emilia dal 56 al 53% e la Toscana dal 44 al 39%.
Medici che se ne vanno
Ma definanziare la sanità significa anche non risolvere il problema del personale. In Italia mancano infermieri e medici. Se la prima categoria soffre di gravissime carenze diffuse, per i camici bianchi sono in crisi solo certe specialità, il cui numero però è in aumento. Riguardo agli infermieri, le stime sono che in tutto il sistema sanitario nazionale manchino 65 mila persone. Non per niente il ministro Schillaci ha annunciato che farà un accordo con l’India perché mandi in Italia professionisti formati.
I medici sono carenti in settori come l’emergenza. Ma la crisi è diffusa anche nelle chirurgie e nelle terapie intensive, ad esempio. Sono circa 3 mila i dottori che lasciano ogni anno, mille vanno all’estero gli altri si spostano nel privato. Da tempo i sindacati chiedono più soldi e anche Schillaci ha detto che è necessario pagare di più i lavoratori della sanità (e non basta il recente rinnovo del contratto per la dirigenza medica, che è già scaduto perché riguarda il triennio 2019-2021 a soddisfare le richieste). Si ipotizza di detassare gli straordinari ma ai rappresentati dei lavoratori non va bene, perché non intendono continuare a fare tanto lavoro extra e vorrebbero che i risparmi riguardassero la quota fissa dello stipendio.
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