Per la Corte dei conti, Tommaso Affinita fece perdere 11 milioni al porto di Bari. Ora guida le autostrade del Mare. II manager guadagna più di 200mila euro l’anno. Ginefra (Pd) presenta un’interrogazione al governo
Questa è una piccola storia di mare, anzi una piccola storia di porto che però, a un certo punto, ha preso il mare, l’autostrada del mare per la precisione. Il suo protagonista è Tommaso Affinita, l’accento è sulla seconda i, 65 anni, doppia laurea a Roma, professore a Bari in “economia delle imprese marittime”, vicino – dicono in città – al duo Fitto-Di Cagno Abbrescia (Pdl), ma in ottimi rapporti anche con l’udc calabrese Tassone.
L’AREA, d’altronde, è comune: la cara vecchia Dc. Il curriculum pubblico di Affinita è quello d’un travet d’alto bordo in Senato (ma è stato anche capo di gabinetto del ministro delle Poste Antonio Gambino nel governo Dini) fino ad approdare all’olimpo dei manager di Stato: presidente dell’Autorità portuale di Bari dal 1997 al 2005, oggi amministratore delegato di Rete autostrade mediterranee (Ram), società del ministero del Tesoro che amministra qualche decina di milioni di incentivi l’anno. In realtà, alla fine, questa non è una storia di mare, ma di spreco di denaro pubblico. Tutto inizia nel 2004, quando l’Autorità portuale di Bari – Affinita presidente, Massimo Foggetti segretario generale – decide di affidare la gestione della Stazione marittima e del Terminal crociere, oltre ad altri servizi per i passeggeri, alla
Bari Porto Mediterraneo srl, società appena costituita. E chi era il presidente e amministratore delegato con pieni poteri? Sempre il dottor Tommaso Affinita. “La delibera di costituzione del 16 giugno 2004 – scrive il deputato del Pd Dario Ginefra in una interrogazione parlamentare – fu adottata in una situazione di palese conflitto di interesse in quanto molti dei componenti del Comitato portuale che presero parte a tale decisione sono poi, direttamente o indirettamente, entrati a far parte della stessa società, e alcuni di essi hanno addirittura ricoperto la carica di amministratori”. Tra violazioni di procedure (compresa una delibera emanata dello stesso Affinita)e svantaggio economico per le casse pubbliche, la vicenda non è finita bene. La Procura di Bari, infatti, nel 2008 ha aperto un’inchiesta, bissata subito da quella erariale della Corte dei conti: la prima è ancora in corso, la seconda si è conclusa con una particolareggiata ricostruzione delle magagne che hanno circondato la Bari Porto Mediterraneo e – per non entrare nei tecnicismi – in una richiesta di condanna che quantifica il danno erariale – anche grazie alla perizia dell’advisor privato Rialp – in 11,2 milioni di euro e spiccioli. I giudici contabili decideranno il 5 dicembre, ma la procura pare avere pochi dubbi: “L’intera operazione di costituzione della società BPM, lungi dal perseguire gli interessi pubblici del Porto di Bari, è stata, di contro, finalizzata a intenti speculativi diretti ad avvantaggiare proprio coloro che rivestivano incarichi gestionali e di governo all’interno dell’ente pubblico in esame”. Anche su chi deve assumersi le responsabilità di questo spreco di risorse pubbliche la Corte è nettissima: Andrebbero ascritte anche e soprattutto al presidente dell’Autorità Portuale di Bari, dottor Tommaso Affinità, per essere stato, egli, contemporaneamente ideatore e principale esecutore dell’improvvida iniziativa dianzi esposta”. Brutte notizie anche per il segretario generale Foggetti, che dovrà rispondere “seppur in via più gradata”.
IL PROBLEMA è che nel 2008, essendo già davanti agli occhi di tutti gli esiti pessimi della gestione Affinita dell’Autorità portuale ed essendo pure già partite le inchieste penale ed erariale, il nostro viene nominato dal governo Berlusconi in una poltrona ancora più importante, quella appunto di Rete autostrade del mare, che gli frutta – pare – oltre 200mila euro l’anno (non è una notizia, ma nel collegio sindacale c’è anche Antonio Mastrapasqua). “Chiedo al governo – spiega Ginefra – se sia accettabile far gestire un’azienda così importante a un manager già accusato per la sua disinvoltura nella gestione della cosa pubblica”. È vero che togliergli lo stipendio adesso sarebbe davvero una cattiveria: se la condanna diventa definitiva, gli servirà per risarcire all’Autorità il danno erariale.
Il Fatto quotidiano – 10 agosto 2012