La Stampa. I Fendt tedeschi, i Renault francesi e i New Holland italiani: trattori che sfilano in tutta Europa, con reclami che puntano il dito contro la forbice tra i prezzi all’ingrosso e quelli al dettaglio, contro l’abolizione dei sussidi sul carburante, contro le politiche ambientali dell’Ue e la burocrazia. Andrea Segré, docente di politica agraria internazionale all’Università di Bologna, soprannominato «il prof anti spreco alimentare», è direttore dell’Osservatorio Waste Watcher e dice: «I governi intervengano e permettano ai consumatori di spendere di più, per mangiare meglio».
Perché la forbice dei prezzi sugli alimenti è cosi ampia?
«L’agricoltore ha un margine sempre più ridotto. È una tendenza che si registra da molto tempo. Ora, per una serie di contingenze, a cominciare dal conflitto russo-ucraino, per gli aumenti di tasse, carburanti e assicurazioni, la situazione è peggiorata. D’altro canto, a causa dell’inflazione, il consumatore cerca l’alimento che costa meno, anche a rischio della propria dieta: si prepara una tempesta perfetta».
C’è una soluzione?
«Negli anni, l’Ue ha ridotto i sussidi e cominciato a chiedere qualcosa in cambio: rotazione delle colture, riposo dei terreni, meno fitosanitari. Come principio è giusto, ma l’agricoltore si trova contro la concorrenza sleale dall’esterno, da parte di Paesi meno protetti».
La questione va affrontata a livello globale, ma è difficile.
«Sono i consumatori che dovrebbero dare più valore al cibo buono».
Paradossalmente, lo spreco aumenta con la povertà.
«Il consumatore abbassa la quantità e la qualità di quel che compra. Sceglie frutta quasi marcia in offerta, junk food, si espone a malattie, sovrappeso, obesità. È il governo che dovrebbe intervenire dando potere d’acquisto».
Quanti sacrificano la qualità alimentare in Italia?
«L’inflazione alimentare a due cifre è finita, ma i poveri alimentari aumentano. Sono 5,7 milioni secondo l’Istat. Il 10% della popolazione, ma probabilmente sono sottostimati. L’Istat, infatti, si basa sul reddito e stabilisce una soglia. Ma noi vediamo che anche un impiegato con 2.500 euro al mese di stipendio, se per esempio è separato e deve pagare gli alimenti, diventa un povero alimentare. La nostra stima è il 50% in più: almeno altri 2,5 milioni».
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