Dario Dongo dal Fatto alimentare. La battaglia portata avanti da Great Italian Food Trade insieme al Il Fatto Alimentare per ristabilire l’obbligo di citare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione dei prodotti alimentari (leggi petizione), registra il primo segno positivo al Consiglio dei Ministri. Prima di rallegrarci però, attendiamo di vedere i fatti.
Il Ministero dell’Agricoltura, MIPAAF in gergo, ha pubblicato ieri sera il comunicato stampa che titola “Etichetta, governo dà via libera a norma per reintroduzione obbligo indicazione dello stabilimento“. Meglio tardi che mai, ma quando scatterà l’obbligo? A ben vedere, il Consiglio dei ministri (1) ha approvato lo “schema di disegno di legge di delegazione europea che all’art.4 contiene la delega per la reintroduzione nel nostro ordinamento dell’indicazione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione o confezionamento per i prodotti alimentari e per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento n. 1169/2011 in materia di etichettatura“.
In pratica, il governo ha concordato di chiedere al Parlamento di delegare l’esecutivo medesimo ad adeguare le norme in tema di etichettatura degli alimenti – cioè il decreto legislativo 109/1992 rispetto al reg. UE 1169/11, il cosiddetto Food Information to Consumers. In questa occasione ristabilire “l’obbligo di indicazione della sede dello stabilimento”, che “riguarderà gli alimenti prodotti in Italia e destinati al mercato italiano“.
Il nostro inguaribile ottimismo ci fa cogliere un segnale di speranza, il Consiglio dei ministri ha fatto pace con se stesso! Ricordiamo infatti che in precedenza le dichiarazioni del ministro Maurizio Martina a favore della sede dello stabilimento erano state smentite dalla sua collega Federica Guidi. Pur tuttavia, si esprime qualche dubbio nel leggere che “Allo stesso tempo partirà a breve la notifica della norma alle autorità europee per la preventiva autorizzazione. L’Italia insisterà sulla legittimità dell’intervento in applicazione di quanto previsto dall’articolo 38 del regolamento n. 1169/2011, motivandola in particolare con ragioni di più efficace tutela della salute dei consumatori“.
In realtà come l’ufficio legale del ministero ben sa e tutti possono verificare nel citato regolamento non è richiesta nessuna “autorizzazione preventiva”. È sufficiente una notifica, una solida motivazione (che non manca, come abbiamo già più volte evidenziato), e una voce grossa per sostenere la posizione rispetto agli attacchi che sicuramente proverranno dai funzionari europei e dalle delegazioni governative più sensibili al potere delle lobby delle “10 grandi sorelle” del cibo (2). Perché allora si tira fuori questa storia della “autorizzazione preventiva”, forse si vuole preparare il terreno per una scusa del tipo “volevamo tanto volare, ma la Commissione europea ci ha tarpato le ali”?
Il ministro dell’agricoltura dichiara che “Non ci fermiamo qui, porteremo avanti la nostra battaglia anche in Europa, perché l’etichettatura sia sempre più completa, a partire dall’indicazione dell’origine degli alimenti. Per noi si tratta di un punto cruciale, perché la valorizzazione della distintività del modello agroalimentare italiano passa anche da qui“. Speriamo che sia proprio così, e attendiamo di vedere al più presto il risultato – l’obbligo di citare in etichetta la sede dello stabilimento – sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Nell’occasione, vale la pena sottolineare un paio di priorità della filiera agroalimentare italiana “dalla fattoria alla forchetta”:
1) citare la sede dello stabilimento di produzione in etichetta è davvero indispensabile per garantire la salute dei consumatori, soprattutto quando si debba gestire una crisi di sicurezza alimentare. Tale obbligo deve perciò venire introdotto nella revisione tuttora in corso del regolamento CE 178/02, ossia il General Food Law, all’articolo 18 (rintracciabilità). Senza dimenticare che il reg. UE 1169/11, cosiddetto Food Information Regulation, ha a sua volta introdotto il dovere di indicare il Paese di produzione ogni qualvolta il prodotto possa apparire di origine diversa da quella effettiva, anche soltanto a causa del marchio utilizzato (3).
2) l’adeguamento delle norme nazionali sull’etichettatura dei prodotti alimentari rispetto alle regole europee deve venire eseguito in modo organico e strutturato affinchè tutti – vale a dire gli operatori della produzione e della distribuzione, ivi comprese le PMI e le micro-imprese, ma anche le autorità di controllo e i consumatori – siano in grado di comprendere come un’etichetta va compilata e controllata, e che cosa significa. Non si può accettare l’ennesimo “patchwork” sul decreto legislativo 109/92 (4), bisogna invece costruire un nuovo testo legislativo chiaro e semplice, “a prova di cretino” come si dice. Se mai fosse utile, il cretino che scrive è disposto a dare una mano, con la fiducia di raccogliere altri cultori della materia in un gruppo di lavoro a servizio del pubblico e del Bene comune.
Avv. Dario Dongo FARE
(1) Vale la pena ricordare che è stato lo stesso governo ad aver fatto cadere l’obbligo della sede dello stabilimento in etichetta, già vigente in Italia dal lontano 1992, per volontaria omissione di notifica della relativa norma,
(2) I marchi delle più celebri multinazionali che vogliono nascondere l’origine dei prodotti sono stati citati in un articolo dedicato al disastro delle delocalizzazioni che tuttora affliggono il Made in Italy alimentare, leggi articolo.
(3) Leggi articolo: “EUROPA – Obbligo di indicare il Paese d’origine sui prodotti Italian sounding”
(4) Un maldestro tentativo di “rappezzare” il vetusto d.lgs. 109/92 era già stato intercettato, a fine 2014. Leggi articolo: “Sede dello stabilimento, allergeni al ristorante, cartello unico degli ingredienti. Oggi è arrivata una nota del Governo generica che non tutela i consumatori”
Il Fatto alimentare – 13 settembre 2015