Il volo spezzato dall’habitat che cambia. Colpa dei pesticidi e della moria di insetti
Giacomo Talignani. Aristotele, con “una rondine non fa primavera”, ci avvertiva a non tirare conclusioni affrettate. Ma oggi, nel desolante silenzio delle nostre campagne, con le rondini ormai dimezzate, è difficile non arrivare a una conclusione comune: l’uomo sta accelerando la scomparsa degli uccelli nelle zone rurali.
Lo confermano due recenti ricerche francesi del Museo Nazionale di storia naturale e del Centro nazionale di ricerca scientifica: sostengono che nelle campagne d’oltralpe a causa dei pesticidi e della scomparsa degli insetti le popolazioni di uccelli si siano addirittura ridotte di un terzo in 15 anni. Meno rondini, allodole e cinguettii di ogni tipo.
E in Italia la situazione non è da meno.
«Anzi, per certi versi è peggio, se si pensa al bacino del Mediterraneo che potrebbe perdere metà della sua biodiversità» spiega Claudio Celada, direttore Conservazione della natura della Lipu. «Abbiamo sempre meno rondini nelle zone agricole, anche se è difficile quantificare il calo. In un centro di inanellamento vicino Treviso poco tempo fa, su circa 10mila esemplari presenti ogni anno, ce n’erano appena 2-3 mila. In certe zone d’Italia sono quasi dimezzate. Un problema che riguarda tutti gli uccelli migratori».
Più di mezzo secolo fa, nella sua Primavera silenziosa, la naturalista Rachel Carson ipotizzò un futuro dove allo sbocciare dei fiori non si sarebbe più udito il canto degli uccelli. Quel futuro è oggi – dicono i ricercatori – dove più cause hanno contribuito alla scomparsa di 421 milioni di uccelli in Europa negli ultimi 30 anni: il cambiamento climatico, l’uso di pesticidi, la mancanza di insetti e la caccia hanno trasformato i loro habitat portandoli verso la morte.
E così a San Benedetto, con l’inizio della primavera, vedere quegli uccelli tornati da sud e pronti a nidificare nei nostri tetti è sempre più improbabile.
«In Italia situazioni drammatiche si registrano soprattutto nelle zone agricole e umide. Da noi negli ultimi 15 anni il 42% degli uccelli tipici delle campagne è scomparso, in particolare in aree con agricolture intensive». Il risultato ha portato zone come la pianura padana a «un deserto verde”, dove le rondini non si avvistano più.
«Sono scomparsi ambienti naturali a causa dell’agricoltura tecnologica e meccanizzata, della caccia: in alcune aree non ci sono più insetti e nemmeno anfibi, stiamo minacciando la loro catena alimentare» continua Celada.
Eppure ci sono esempi di uccelli che nell’interazione uomo-natura hanno risposto positivamente. In certe città, come dimostra uno studio effettuato nell’area di Pisa e Livorno, grazie a foreste urbane e parchi si è verificato il ritorno dei merli che sono diventati più comuni che nelle campagne. «Ma in altre aree, come le praterie montane, stiamo assistendo a un collasso ecosistemico: con l’80% degli insetti volanti in meno gli uccelli non hanno più cibo, fattore che in Italia va aggiunto ad un altissimo consumo di suolo dovuto all’urbanizzazione. Così li priviamo dei loro habitat».
La funzione di uccelli è quella di «indicatori della salute ambientale», perderli certificherebbe il grado di malattia del nostro pianeta.
«Bisogna invertire la rotta, cambiare l’agricoltura di oggi, applicare e finanziare le direttive europee Natura e investire su parchi e riserve protette». Perché sì, una rondine non fa primavera, ma migliaia tornate a volare nei nostri cieli sarebbero davvero una grande rivoluzione.
Repubblica – 27 marzo 2018