Il Corriere del Veneto. Dai tamponi di Vo’ a fine febbraio ai test «fai-da-te» presentati lunedì, passando per i test salivari su cui è al lavoro il professor Mario Plebani a Padova, il Veneto si è sempre distinto come Regione all’avanguardia nell’attività di screening del coronavirus. La circostanza, al di là dei meriti contesi, è riconosciuta dal governo (il feeling tra il presidente Luca Zaia e il ministro della Salute Roberto Speranza è noto ed esibito) e pure dalle altre Regioni, che non a caso hanno voluto l’ex direttore della Sanità di Palazzo Balbi Domenico Mantoan a capo di Agenas (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) e acconsentito all’ingresso dei veneti Roberto Rigoli, direttore della microbiologia di Treviso, e Francesca Russo, direttrice del Dipartimento di prevenzione regionale, nel comitato ristretto chiamato a confrontarsi per conto dei territori con il ministero, l’Istituto Superiore di Sanità, il Comitato Tecnico Scientifico nazionale, l’Oms e l’Istituto Spallanzani di Roma.
Proprio dal dibattito in seno a questo consesso è scaturita la circolare del ministero della Salute del 23 ottobre da cui hanno preso ispirazione i componenti del Comitato Tecnico Scientifico del Veneto per la loro lettera al coordinatore Mario Saia e al presidente Zaia. La circolare ha infatti un allegato intitolato: «Test di laboratorio per SARS-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica» in cui si legge chiaramente che quanto «agli operatori sanitari e al personale in contesti ad alto rischio» va utilizzato come prima scelta «il test molecolare» e solo come alternativa secondaria «il test rapido antigenico più la conferma con test molecolare». Esattamente ciò che hanno scritto i membri del Cts veneto, con l’aggiunta che, in caso di tampone rapido, i tempi vanno dimezzati rispetto a quelli attuali, da 8 a 4 giorni.
Sul piano scientifico, dunque, la copertura è massima: l’ha detto il ministero, forte dei timbri delle massime autorità sanitarie del Paese. E però quelle autorità, dal ministero all’Iss e lo Spallanzani, sono le stesse che hanno dato il via libera all’uso massivo da parte del Veneto dei test rapidi di cui ora si mette in dubbio l’affidabilità. E a farlo non è più solo Andrea Crisanti, direttore della microbiologia di Padova che da tempo incrocia le lame con Zaia, Russo e Rigoli, ma pure altri nomi noti del panorama scientifico veneto, proprio quelli che dovrebbero confortare la Regione sulla bontà delle sue scelte.
Tra di loro, ad esempio, c’è Anna Maria Cattelan, primario delle Malattie Infettive di Padova, che solo pochi giorni fa aveva preso pubblicamente le distanze dallo studio in cui Crisanti, sostenendo di averla coinvolta, affermava che 3 positivi su 10 sfuggirebbero al test rapido. Ora firma una lettera capitanata proprio da Crisanti in cui, nella sostanza, avvalora quella tesi. C’è poi un tema politico non trascurabile: può la Regione continuare ad applicare ai cittadini, e in particolare ad anziani e bambini, un test che non applica ai medici perché potrebbe non funzionare a dovere? La risposta l’ha già data ieri Zaia ed è no. D’altronde, basta rileggere i commenti in calce alla diretta Facebook in cui il presidente ha parlato della vicenda (di media la seguono 30 mila persone) per intercettare le proteste di quanti, dopo essersi sottoposti al test rapido, ora si sentono presi in giro. Con queste premesse, la Regione può sottoporre a questo tipo di screening gli ospiti delle case di riposo, dove più forti sono i timori per l’esplosione dei focolai, col rischio che una procura, domani, possa chiedere: perché non sono state seguite le indicazioni del Cts regionale?
Il punto è che se si eliminano i tamponi rapidi implode il sistema di tracciamento del Veneto, uno degli elementi che meglio stanno funzionando rispetto al resto d’Italia e che hanno permesso alla nostra Regione di restare in fascia gialla mentre tutto il Nord si tingeva di rosso. I «rapidi» ieri sono stati 29 mila su 47 mila test totali: con simili numeri (3.753 nuovi contagiati) per i laboratori sarebbe impossibile processare i tamponi molecolari e di certo non nelle 36 ore previste nella lettera al centro del caso.
Infine, è pure una questione d’immagine: è stato il Veneto ad imporre all’attenzione l’uso di questi test; a suggerirli con insistenza al ministero; a perorane la causa in Conferenza delle Regioni. Che ci hanno seguito, vogliamo immaginare dopo le opportune verifiche: è di ieri la notizia della chiusura dell’accordo in Toscana ed Emilia Romagna per la fornitura proprio di questo tipo di tamponi ai medici di base. A Bolzano, oggi, vi si sottoporranno 500 mila persone. Ed è ormai pronta la maxi gara da 148 milioni per la fornitura di 14 lotti che andranno a riempire i magazzini, oltre che del Veneto, di Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Provincia autonoma di Trento, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte.