Dopo il bestiame e i derivati del latte, la ricerca delle diossine e degli altri inquinanti di natura industriale si sposta anche sull’uomo. Ad interessarsene è il Ministero della Salute che ha finanziato un progetto condotto dall’Istituto superiore di sanità e dal Dipartimento di prevenzione della Asl di Taranto.
Dipenderà dai risultati, invece, il coinvolgimento della procura della Repubblica che potrebbe far confluire i dati in un nuovo fascicolo a supporto dell’inchiesta madre sull’inquinamento dell’Ilva che ha già portato le prime misure con gli arresti dei vertici della proprietà e dello stabilimento e il sequestro degli impianti a caldo. Il nuovo studio, i cui dati si conosceranno il 12 ottobre prossimo, riguarda il monitoraggio biologico umano su una cinquantina di persone che hanno lavorato come allevatori nelle masserie dislocate nella cerchia industriale tarantina dove sono stati già documentati livelli di diossina negli animali superiori alla norma.
Durante lo studio, oltre ?ai campioni ematici sui quali sono state eseguite le misure di ?queste sostanze nocive, state raccolte anche informazioni sulla tipologia delle aziende zootecniche (compresa la distanza dall’impianto ?siderurgico) e sulle caratteristiche personali dei lavoratori,?compresa la loro storia residenziale e lavorativa, le abitudini alimentari e il consumo di alcool e fumo di sigaretta.
Il Ministero ha fatto sapere che sono già in ?corso le analisi conclusive dello studio ideato e disegnato prendendo spunto da ?precedenti indagini della Asl di Taranto sulla presenza di ?diossine e Pcb negli animali e negli alimenti prodotti dalle ?aziende zootecniche che in alcuni casi hanno portato?al sequestro e all’abbattimento di animali che presentavano ?livelli di contaminanti sopra i valori consentiti.
Se la diossina dovesse essere presente in misura abnorme anche nell’uomo, la procura sarebbe costretta, per il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, a ricercare i responsabili di tale danno. Facile prevedere le conseguenze di un possibile allargamento della ricerca di diossina, su vasta scala, nella popolazione residente nel quartiere Tamburi, ad esempio, con scontate istanze di costituzioni di parte civile nel futuro processo a carico dell’Ilva, o di chi sarà ritenuto responsabile della fonte d’inquinamento, a cui farebbero seguito richieste di risarcimenti dai costi difficilmente quantificabili adesso.
Stesso discorso per i miticoltori, anche loro alle prese con la contaminazione industriale dei propri prodotti, interessati a conoscere l’esito della relazione sulle emissioni inquinanti dell’Ilva che la procura ha già chiesto all’Arpa. Una prima anticipazione sui risultati delle analisi (che non ha riguardato solo i mitili ma l’intero eco sistema del Mar Piccolo), evidenzia «una notevole concentrazione, rispetto ad altri specchi di acque di transizione pugliesi – fa sapere Massimo Blonda, direttore scientifico dell’Arpa Puglia -, di Pcb
(policlorobifenili) e di diossina e, ancora, una maggiore concentrazione di diossina rispetto al Pcb». Anche in questo caso le imprese danneggiate attendono il momento per presentare il conto al colpevole.
Ad avere gli occhi puntati sull’Ilva ora sono anche gli attivisti di «Anonymous Italia» che hanno lanciato l’operazione «Operation Green Right». Gli hacktivis, come vengono definiti i pirati informatici del famoso collettivo internazionale, sarebbero riusciti ad entrare nel sistema telematico dell’Ilva smascherando una presunta manipolazione dei dati relativi al livello di emissione del furfurolo. Per provare questo «Anonymus» ha pubblicato sui blog una tabella che mostrerebbe la falsificazione dei dati dei rilevamenti ambientali cercando di legalizzare le proprie emissioni».
Corriere del Mezzogiorno – 26 agosto 2012