Non c’è crisi che tenga, la scelta unilaterale dell’imprenditore di ridurre l’orario di lavoro dei propri dipendenti è nulla ed espone l’impresa a pagare la retribuzione piena ai prestatori. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 24476/2011, bocciando il ricorso di una impresa farmaceutica attiva nel Salento che era stata condannata in Appello dopo aver vinto in primo grado. Part time obbligato dopo quasi 27 anni. La storia è quella di un dipendente di lungo corso che dopo quasi trenta anni di servizio, venne assunto nel 1971, nell’agosto del 1999, si vide ridurre per una decisione aziendale l’orario di lavoro e dunque lo stipendio.
Andato in pensione tre anni dopo, nel 2011, aveva richiesto il pagamento per tutte le ore prestate in meno, determinandone l’ammontare in circa 8mila euro.
Il tribunale di Lecce bocciò la domanda sulla base del fatto che dalla testimonianza dello stesso dipendente era emersa la sottoscrizione di un accordo sindacale del 1990 in cui si accettava la riduzione dell’orario di lavoro.
La clausola è nulla
Per la Corte d’Appello, ragionamento poi condiviso in Cassazione, però quell’accordo era troppo risalente nel tempo per poter essere applicato al caso specifico, che invece dipendeva da una decisione datoriale autonoma del 1999. Non solo, ma anche se vi fosse stato un ulteriore accordo verbale sulla riduzione dell’orario sarebbe comunque mancata la forma scritta che in questo caso è richiesta ad substantiam. Ragion per cui la clausola era da considerarsi nulla e il rapporto convertito nuovamente in contratto a tempo pieno, con il conseguente diritto a vedersi retribuite le ora lavorative non prestate. Infatti, ricorda la Cassazione la trasformazione del rapporto da full a part time è ammessa soltanto su accordo delle parti, risultante da atto scritto, e per di più convalidato dall’ufficio provinciale del lavoro dopo aver ascoltato il dipendente.
Ilsole24ore.com – 22 novembre 2011