La decisione della Regione Veneto di introdurre l’utilizzo massiccio dei test rapidi antigenici anche nello screening per la ricerca di Sars-Cov-2 nel personale sanitario, ospedaliero e territoriale, con periodicità che va dagli 8 ai 20 giorni, perché garantirebbe “l’efficienza e la sostenibilità della strategia di sanità pubblica” trova la ferma opposizione dei sindacati medici e del comparto.
Intanto gli interrogativi sollevati dal professor Andrea Crisanti a causa dell’elevato tasso di “falsi negativi” (tre su dieci) che fornirebbero i test antigenici usati in Veneto avrebbero dovuto imporre la massima cautela nel loro utilizzo, in attesa almeno della pubblicazione della ricerca cui il docente sta lavorando. Inoltre, la circostanza che le due province venete in cui fino a questo momento si è fatto l’uso più ampio dei tamponi rapidi, Treviso e Belluno, siano anche quelle in cui la gestione del contagio si sta rivelando più complessa, avrebbe dovuto suggerire prudenza e riflessione.
Non rilevare le positività del personale medico e sanitario non solo espone a un rischio inaccettabile le categorie interessate, ma trasforma gli operatori “falsi negativi” in veicoli di infezione per i pazienti e gli assistiti. Uno scenario drammatico che va assolutamente evitato.
Al di là dell’esperienza veneta, ricordiamo, è un po’ tutta la letteratura scientifica a sottolineare, allo stato, la scarsa affidabilità del test antigenici rapidi e a sconsigliare il loro utilizzo per raggiungere la certezza della diagnosi. Esperienze e studi compiuti a livello europeo e internazionale, infatti, ne hanno confermato la criticità e il non trascurabile margine di errore.
Certamente, si potrà obiettare, si tratta di metodiche che hanno il vantaggio di una maggiore economicità, facilità di somministrazione e rapidità. Ma non serve a molto avere risposte in tempi celeri se queste risposte non sono attendibili. Come Fvm abbiamo già avuto occasione di sottolineare, nelle scorse settimane, su queste pagine, che fintanto che la ricerca in corso di test diagnostici veloci (point-of-care test), che siano anche altamente affidabili, non avrà dato risultati certi, dei limiti attuali si dovrebbe tenere conto. Visto che i test rapidi e i test salivari al momento possano servire al massimo come uno strumento iniziale per identificare gli individui potenzialmente infettivi molto rapidamente, ma non come test diagnostici specifici. E come in ogni caso vadano eseguiti, quando siano disponibili, sempre i test diagnostici che utilizzano la PCR.
Nel caso di effettiva impossibilità ad eseguire il tampone molecolare, i test antigenici rapidi andrebbero comunque ripetuti sulla stessa persona per tre-quattro volte in tempi ravvicinati (48-72 ore) per arrivare ad un accettabile margine di sicurezza.
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