Luca Fiorin. Esami da Pfas: appena cominciati c’è già l’appello a cambiarne le modalità di svolgimento. Un appello condito da una denuncia: chi non rientra nei parametri dello screening promosso dalla Regione può verificare se il suo sangue contiene sostanze perfluoro-alchiliche solo rivolgendosi ad ambulatori privati, il più vicino dei quali si trova ad oltre cento chilometri di distanza. A sollevare il tema è Serena Pecori, una funzionaria di banca di Legnago, mamma di due figlie. Una, una ragazza di 14 anni, ha già fatto le analisi, essendo stata invitata a questo scopo nei giorni scorsi all’ambulatorio allestito al Mater salutis, nell’ambito dei controlli riguardanti la popolazione di 13 Comuni del Basso ed Est veronese che rientrano nei 21 del Veneto considerati i più esposti agli effetti della contaminazione delle acque da Pfas. L’altra è una bambina di sette anni, che rivolgendosi al sistema sanitario pubblico non le può fare, visto che lo screening, sulla base di quanto consigliato dall’Istituto su periore di Sanità, riguarda solo le persone nate fra il 1951 e il 2002. Per quanto riguarda il Veronese, infatti, verranno invitate a sottoporsi alle analisi circa 47 mila delle 72 mila persone residenti ad Albaredo, Arcole, Cologna, Pressana, Roveredo, Veronella, Zimella, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant’Anna, Legnago, Minerbe e Terrazzo, più quelli che se ne siano andati dal paese in fascia rossa negli ultimi cinque anni e che facciano richiesta di essere inseriti nello studio.
«Far fare le analisi a una figlia e non all’altra non mi è parso certo una cosa positiva, per cui ho cercato di informarmi sul perché di questa situazione e su come potevo cambiarla», spiega Serena Pecori. «Via social il sindaco di Legnago Clara Scapin mi ha confermato che non è possibile fare in forma pubblica i controlli per quanto riguarda i Pfas, e quindi ho cercato di contattare per questo dei laboratori privati». Quelli più vicini le hanno detto che non fanno questo tipo di analisi – uno, a dire il vero, prima si era dato disponibile e poi si è tirato indietro – per cui ha dovuto allargare il raggio delle sue ricerche. Dopo aver preso informazioni attraverso un’associazione che si occupa del caso Pfas, la mamma legnaghese è riuscita ad entrare in contatto con una struttura di Oderzo, in provincia di Treviso, che le ha proposto di fare le analisi al costo di 200 euro più Iva e le ha spiegato che sta organizzando un punto di prelievi aperto per una giornata a Montecchio Maggiore, nel Vicentino.
Un fatto che dimostra che richieste di questo tipo non mancano. «Certo si tratta di dover affrontare una spesa significativa», commenta la donna. La signora non intende certo rinunciare a sapere se la sua figlia più piccola ha assunto sostanze perfluoro-alchiliche nel proprio organismo. «Secondo quanto dicono i medici proprio i bambini sono quelli che possono essere più a rischio», afferma Pecori, «per cui a mio parere lo screening dovrebbe essere ampliato, comprendendo anche i bambini», afferma. Una tesi che qualche settimana fa era stata sostenuta, guardando però soprattutto agli ultrasessantacinquenni, anche da un ex consigliere provinciale e comunale di Zimella, Corrado Fanton. Pochi giorni fa, nell’incontro di presentazione a sindaci e medici di base dei controlli a tappeto che sono iniziati nel Veronese il 2 maggio scorso, il coordinatore dell’operazione Rinaldo Zolin, medico del centro screening di Montecchio Maggiore, aveva spiegato che non è prevista la possibilità di fare analisi sui Pfas a chi è fuori dal programma.
Questo creerebbe problemi organizzativi, visto che la Regione ha un solo macchinario che può effettuare questi controlli, macchinario che si trova nella sede Arpav di Verona. Considerati i primi risultati arrivati dal vicentino, secondo cui tutti e mille i giovani fra i 14 e i 20 anni finora esaminati hanno valori di Pfas nel sangue superiori ai parametri tollerabili e spesso anche patologie correlabili, pare si stia pensando davvero ad abbassare l’età minima dei controllati. ·
L’Arena – 11 maggio 2017