Flavia Amabile, la Stampa. E’ opportuno lavorare durante l’ultimo mesi di gravidanza ed è opportuno rimettere in discussione questo che sembrava un altro dei diritti acquisiti ereditati dal passato? È stata la Lega a sollevare la questione con un emendamento presentato due giorni fa, che intende offrire la possibilità alle donne di lavorare fino alla fine della gravidanza e di usufruire invece dei cinque mesi di congedo di maternità dopo la nascita del bambino, a condizione che ci sia il via libera da parte del medico. L’emendamento è stato approvato dalla commissione Bilancio della Camera introducendo un profondo mutamento nella filosofia dell’attuale congedo deciso per tutelare la donna e il futuro figlio, sapendo che le ultime settimane sono le più delicate e rischio.
Non esiste più il rischio? Una risposta tecnica arriva da Vito Trojano, vicepresidente della Società di ginecologia e ostetricia: «Continuare a lavorare fino al termine della gestazione non rappresenta assolutamente un rischio se non ci sono problemi particolari, moltissimo dipende ovviamente dal tipo di lavoro che si svolge». Come spiega anche l’emendamento, è necessario il via libera del medico ed è possibile che il medico non si pronunci in modo favorevole in alcune condizioni: se si tratta di un lavoro faticoso o legato a attività da svolgere per molte ore di seguito. O, ancora: «Se la donna ha avuto minacce di aborto, se ci sono problemi alla placenta, se c’è il rischio di rottura prematura delle membrane», elenca il vicepresidente della Sigo. Oppure, infine, «se la donna non è vaccinata contro l’influenza per evitare contagi».
Fatta eccezione per questi casi, nessun rischio. Anzi, un’opportunità, secondo Maria Edera Spadoni, vicepresidente della Camera dei Cinque Stelle: «Non ci trovo nulla di negativo, è una possibilità in più che si offre con la garanzia di poter invece scegliere di non lavorare andando da un medico che lo certifichi. È un passo avanti rispetto al congedo attuale».
La definiscono un’opportunità anche le donne della Cisl. Liliana Ocmin del coordinamento nazionale donne della confederazione: «La flessibilità può essere un’opportunità in più, ma bisogna vigilare che non ci siano abusi da parte dei medici e forme di pressione dei datori di lavoro sulle donne prima e dopo la gravidanza». Bisogna essere sicuri che le condizioni di salute vengano «realmente certificate da un medico specialista» e vanno tutelati i diritti delle donne, «così come va garantita la salute sia delle mamme, sia del nascituro».
Abusi è la parola migliore per capire i timori che si ritrovano all’interno del fronte dei contrari all’emendamento. Nessuno nega che lavorare fino al nono mese di maternità possa essere considerata la scelta più adatta da una categoria di donne con lavori di livello dirigenziale o con maggiore peso all’interno delle imprese. Ma le altre che oltretutto rappresentano la maggioranza?
Loredana Taddei, responsabile delle Politiche di genere della Cgil: «La flessibilità introduce una finta libertà. Una parte delle donne può avere l’impressione di gestire meglio la maternità, ma le statistiche ci ricordano che il lavoro femminile è sempre più precario e privo di tutele. In una situazione del genere si è più facilmente sottoposte al ricatto del datore di lavoro. Abbiamo chiesto che il testo sia modificato, non vogliamo che le donne tornino indietro di settant’anni». Le critiche arrivano anche da donne legate al mondo della destra. Renata Polverini di Fi critica «il governo delle contraddizioni» che «da una parte chiede di fare più figli e poi cerca di minare la legge sulla maternità», e che «mette sul podio la famiglia naturale per poi affondare quella reale».
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