Abbiamo fatto scomparire, in 44 anni, il 60 per cento degli animali vertebrati. Vite di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi cancellate per colpa dell’inquinamento dell’aria e dei mari, della sparizione senza freni di foreste e habitat naturali, azzerati per fare posto all’agricoltura. E adesso, con i tre quarti della superficie del pianeta pesantemente modificata dall’uomo, «il nostro futuro è a rischio». Un allarme che viene dall’ultimo, drammatico, rapporto realizzato dal Wwf in collaborazione con la Zoological Society of London che rileva scientificamente la salute del pianeta.
I numeri contenuti nel dossier — che ha preso in esame quattromila specie — sono quelli di un massacro. Nel 1970 gli elefanti, in Africa, erano un milione e 300 mila: oggi sono meno di un terzo, 415 mila. Sempre 48 anni fa si contavano 38 mila tigri nel Sudest asiatico: adesso non superano le quattromila. Uno scenario destinato a peggiorare, visto che nel 2010 questo declino — che uno studio pubblicato dalla National Academy of Sciences definisce apertamente «estinzione di massa, la sesta nella storia della Terra» — era fermo al 52 per cento. Ma nel 2014 (ultimo anno con dati complessivi disponibili) la sparizione dei vertebrati è salita al 60 per cento.
«Siamo come sonnambuli che camminano velocemente verso il burrone» è l’immagine usata dal direttore scientifico del Wwf Mike Barrett per il quale «distruggere la natura equivale a mettere a repentaglio le basi della nostra vita». Principale responsabile di questo sterminio «è l’uomo, con il suo comportamento», si legge nel «Living Planet Report 2018», la ricerca condotta da 59 scienziati di tutto il mondo.
Le cause stanno in un elenco che comprende il sovrasfruttamento e la distruzione degli ambienti naturali, il cambiamento climatico, l’inquinamento, la moltiplicazione di dighe e miniere. Di questo passo, prevede il Wwf, nel 2050 solo il 10 per cento del pianeta risulterà non condizionato dal peso delle attività umane. Fattori che intanto stanno minando la sopravvivenza di ottomila e 500 specie a rischio.
In testa alla «lista rossa» elaborata dallo «Iucn» — l’Unione mondiale per la conservazione della natura — ci sono i delfini della specie «vaquita»: non più di 30, ormai, nel Golfo della California. Non superano i 70 esemplari i «leopardi dell’Amur» sparsi tra Mongolia, Cina e Russia. Nel Nord Carolina, invece, di «lupi rossi» se ne contano non più di 150.
La lista tocca anche l’Italia dove non mancano specie a rischio. I n primis l’orso marsicano: solo 50 nel Parco nazionale dell’Abruzzo. Poi «l’aquila del Bonelli», appena 40 coppie in Sicilia. E infine i gipeti — gli «avvoltoi barbuti» —: 150 esemplari oggetto di un programma di ripopolamento sulle Alpi.
«Oggi possiamo ancora fare una scelta — riflette Marco Lambertini, direttore generale di Wwf International —: essere i fondatori di un movimento globale che punti a cambiare la nostra relazione con il pianeta per garantire un futuro per tutti, oppure essere la generazione che ha avuto un’occasione e l’ha fallita. La decisione però è soltanto nostra».
Corsera