Il ministro della Sanità: «Chiamare il proprio medico di base prima di andare al pronto soccorso»
Ministro Schillaci, scusi il giro di parole. Ma qual è ad oggi lo stato di salute della Sanità italiana?
«È in fase di cura ricostituente. Ho trovato un sistema ingolfato dopo anni di tagli e disorganizzazione. Non siamo rimasti a guardare. La salute è tornata al centro dell’agenda di governo: abbiamo aumentato le risorse, come mai avvenuto in passato, con oltre 11 miliardi nel triennio per il Fondo sanitario nazionale. In questo modo potremo aumentare gli stipendi del personale e ridurre le liste d’attesa».
Parliamo di Covid: ultimamente la curva si è di nuovo abbassata, dopo un periodo in cui il virus sembrava rialzare la testa. Cosa sta facendo il governo per contrastarlo?
«La situazione è assolutamente sotto controllo. Monitoriamo costantemente l’andamento del virus. I dati dell’ultimo bollettino settimanale indicano un calo dei contagi, dei decessi e dei ricoveri ospedalieri. Come per l’influenza, è disponibile il vaccino: abbiamo anticipato la distribuzione alla fine di settembre ed è stato consegnato alle Regioni, anche quello proteico».
Crede che ci sarà bisogno di un ritorno alle mascherine per tutti, magari nei luoghi al chiuso (trasporti, centri commerciali etc)?
«C’è un’ordinanza che prevede l’uso delle mascherine nelle strutture sanitarie all’interno dei reparti che ospitano pazienti fragili, anziani o immunodepressi, specialmente se ad alta intensità di cura, identificati dalle direzioni sanitarie. I medici di famiglia possono decidere per gli accessi agli ambulatori. In generale, ritengo debba prevalere il buon senso e la responsabilità di ognuno di noi: se ho sintomi influenzali o simil influenzali, evito di far visita ai nonni anziani o a persone fragili. E se proprio c’è necessità di farlo, ad esempio per assisterli, è bene proteggerli».
Intanto però, ci sono altre emergenze. In particolare, c’è un allarme sui pronto soccorso al collasso per l’aumento di accessi per influenza. È anche un problema di vaccinazioni a rilento, come dicono ad esempio gli oncologi. Cosa fare?
«Stiamo vivendo, come già accaduto altre volte in passato, una stagione intensa con una elevata circolazione di virus respiratori. Sono sicuro che molti pazienti, ai primi sintomi, non hanno chiamato il loro medico di famiglia. È qui l’errore. Non sempre è necessario andare in pronto soccorso e soprattutto senza essersi consultati prima con chi può darci i consigli giusti. Riguardo le vaccinazioni, ad aprile è partita la circolare alle Regioni per la campagna autunnale di vaccinazione dai primi di ottobre. A novembre le abbiamo sollecitate a potenziare l’offerta vaccinale coinvolgendo anche la rete specialistica sia a livello ospedaliero che territoriale per facilitare la tempestiva adesione dei pazienti alle campagne vaccinali, fermo restando il contributo dei dipartimenti di prevenzione, dei medici di famiglia e pediatri e delle farmacie. Ribadisco anche qui che è sempre importate proteggersi, specialmente anziani e fragili».
Come è possibile, attraverso misure governative, evitare la fuga dei medici dai Pronto soccorso, fenomeno particolarmente evidente dall’esplosione del Covid nel 2020 in avanti?
«Valorizzandoli molto di più. Lavorare in pronto soccorso comporta grandi sacrifici e per questo a maggio abbiamo approvato norme sulle indennità di pronto soccorso, aumentato le tariffe del lavoro straordinario, incentivato l’impiego degli specializzandi e inasprito le pene per chi aggredisce operatori sanitari. Sono i primi passi ma non gli unici per scongiurare l’allontanamento di medici e infermieri dai pronto soccorso, e incentivare i giovani laureati a scegliere la specializzazione in emergenza-urgenza. Il potenziamento dell’assistenza territoriale, attraverso le case di comunità e gli ospedali di comunità, consentirà ulteriormente di alleggerire la pressione sugli ospedali e fare in modo che il personale possa lavorare con minori livelli di stress».
Altro tema annoso. Le aggressioni al personale medico da parte dei parenti dei pazienti. Servono più presidi di polizia negli ospedali?
«Oltre alle misure di sicurezza, con il ministro Piantedosi siamo intervenuti aumentando i presidi di polizia. Ma c’è anche un problema di natura culturale. Per questo ho promosso campagne di sensibilizzazione, insieme alle federazioni e le associazioni di categoria, affinché i cittadini comprendano che il medico e l‘infermiere del pronto soccorso, e più ingenerale i camici bianchi, sono alleati dei pazienti: si prendono cura delle persone e non meritano di essere aggrediti, né fisicamente né verbalmente. Troppo spesso, poi, sono donne le vittime di queste aggressioni. È intollerabile».
C’è un altro argomento particolarmente sentito da una specifica categoria di medici. Crisi di vocazione, contenzioso legale e paghe troppo basse fanno sì che ci siano sempre meno chirurghi. Anche qui: come intervenire per evitare, in futuro, problemi di funzionamento delle sale operatorie?
«C’è un problema di attrattività di alcune specializzazioni mediche. Abbiamo dato un primo segnale sugli stipendi con 2,4 miliardi per i rinnovi dei contratti del personale sanitario. Non sarà l’unico. In merito alla responsabilità sanitaria, credo che siano maturi i tempi per intraprendere la via della depenalizzazione dell’atto medico, a esclusione del dolo, mantenendo la responsabilità civile. Ricordo che la maggior parte delle cause si risolve nell’assoluzione. E’ un tema di cui, come Governo, ci stiamo occupando e verso cui anche il Parlamento ha mostrato sensibilità con la mozione di maggioranza approvata alla Camera».
Sulla Sanità la competenza è regionale. Ma serve un maggiore coordinamento con lo Stato centrale, visto che a volte i territori sembrano andare per conto loro?
«Vogliamo migliorare la governance del sistema e stringere un nuovo “patto” con le Regioni e con i cittadini, superando la logica negoziale dei patti della salute, attraverso un Nuovo Piano Sanitario Nazionale che contenga obiettivi strategici, priorità, linee di azione, risorse da mettere in campo e tempi per la loro realizzazione. Abbiamo un rapporto costante di dialogo con le Regioni e siamo sempre pronti a dare il sostegno necessario per rispondere ai bisogni di salute delle persone in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Come ho detto più volte, però, occorre che le Regioni spendano bene i fondi e migliorino i modelli organizzativi. Su questo vigileremo con attenzione, nel rispetto della loro autonomia».
In conclusione, visto che siamo all’inizio dell’anno. C’è un obiettivo che vorrebbe realizzare entro la fine del 2024?
«C’è più di uno obiettivo: aumento dell’indennità di specificità medica e sanitaria; eliminare i tetti spesa per le assunzioni di personale; utilizzare di più gli specializzandi nei reparti dove c’è maggiore bisogno. Sono tutte misure che si aggiungono a quelle già adottate in questo primo anno e che puntano a rendere più attrattivo il lavoro nel servizio sanitario pubblico, sopperire alla carenza di personale e ridurre le liste d’attesa».
Il Messaggero