Certo, il 2014 sul fronte del lavoro è stato un anno terribile, con la disoccupazione che ha toccato il 12,7%, ovvero il livello più alto dal 1977. Per questo i dati di gennaio, che confermano una lievissima ripresa dell’occupazione, più che per i valori assoluti hanno un significato particolare perché confermano la fine della caduta e l’inizio dell’inversione di tendenza.
In base alle stime rese note oggi dall’Istat, infatti, il tasso di disoccupazione italiano nel mese di gennaio è calato per il secondo mese consecutivo scendendo al 12,6% dal 12,7% (rivisto da 12,9%) di dicembre. Il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 anni, ovvero l’incidenza dei giovani disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro, si attesta invece al 41,2% rispetto al 41,4% (rivisto da 42%) di dicembre.
Nella media del 2014, il tasso di disoccupazione raggiunge il 12,7% rispetto al 12,1% di un anno prima, mentre nella fascia di età 15-24 anni arriva al 42,7%, crescendo di 2,6 punti percentuali. Davvero pessimi i dati del quarto trimestre con la disoccupazione che è salita al 13,3%, toccando il 43,3% per i 15-24enni. Nel 2014 la crescita degli occupati ha interessato sia gli uomini (+0,2%, pari a 31.000 unità) sia, soprattutto, le donne (+0,6%, pari a 57.000 unità). A crescere sono però solamente le regioni del Centro e del Nord, mentre il Sud cala ancora (-0,2%). Nel 2014 l’occupazione della componente italiana cala di 23.000 unità mentre l’occupazione straniera aumenta di 111.000 unità. La crescita interessa in misura contenuta i lavoratori a tempo indeterminato (+18.000 unità) e in modo più sostenuto i lavoratori a termine (+79.000). Prosegue, invece, a ritmo meno sostenuto il calo degli indipendenti (-9.000 unità). A tirare è soprattutto l’industri con 61.000 nuovi occupati (+1,4%) mentre continua il calo delle costruzioni (-69.000 unità, pari a -4,4%).
A gennaio il tasso di occupazione risulta invece pari al 55,8%, in aumento di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,3 su base annua. Gli occupati – 22,320 milioni – sono sostanzialmente invariati rispetto a dicembre (+11.000) e in aumento dello 0,6% su base annua (+131.000). Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 221 mila, diminuisce dello 0,6% rispetto al mese precedente (-21 mila) mentre aumenta dello 0,2% su base annua (+7 mila).Nel mese di gennaio, in particolare, è cresciuta l’occupazione femminile (+0,2 su dicembre e +0,8 su gennaio 2014) mentre il numero di inattivi è calato dello 0,1% nel confronto con dicembre e dell’1,3% rispetto a dodici mesi prima. Il tasso si attesta al 36%, invariato in termini congiunturali e in calo di 0,4 punti su base annua. In pratica, spiegano dall’Istat, “stiamo un po’ recuperando sulla grossa perdita che c’era stata nell’arco del 2013, l’anno peggiore dal punto di vista dell’occupazione assieme al 2009”.
Giustamente caute, per quanto soddisfatte, le reazioni della maggioranza e del governo. “In un paese caratterizzato da una strutturale bassa occupazione, dà particolare ottimismo che il tasso di occupazione sia anche esso in crescita – rileva Filippo Taddei, responsabile economia e lavoro dl Pd -. Di fronte ai primi veri segnali di crescita rimane sulla politica l’obbligo di consolidarli mantenendo la prospettiva delle riforme”. Il ministro del Lavoro Poletti, a sua volta, parla di “risultato incoraggiante dopo diversi anni di caduta dell’occupazione, che – insieme ai segnali positivi di crescita della produzione industriale e della fiducia di imprese e consumatori – fa intravedere la possibilità di un 2015 migliore per l’occupazione e l’economia, con un quadro di maggiore stabilità in grado di favorire gli investimenti delle imprese”. Nei prossimi mesi, aggiunge il ministro, “potremo anche vedere l’effetto pieno delle misure varate dal Governo con la riforma del lavoro e con la legge di stabilità per sostenere la ripresa e, in particolare, per favorire l’occupazione stabile: la decontribuzione triennale per i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato, la deducibilità dal calcolo dell’Irap e l’introduzione del nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Anche la riduzione della precarietà, a seguito dell’abolizione delle tipologie contrattuali più precarizzanti, potrà favorire la ripresa dei consumi, in quanto dà alle persone una prospettiva più certa e definita”.
La Stampa – 2 marzo 2015