La correzione che mercoledì ci chiederà Bruxelles nel Def è possibile smontando il taglio del cuneo e i vari bonus.
ROMA — Archiviate le elezioni europee, l’Italia torna con i piedi per terra. Dopo la politica, ecco l’economia. Mercoledì la Commissione europea metterà undici Paesi, tra cui il nostro e la Francia scossa da venti di destra, in procedura per deficit eccessivo. Venerdì invierà ai governi la “traiettoria tecnica”, il sentiero di aggiustamento della spesa alla base del piano di bilancio che il governo Meloni dovrà presentare a Bruxelles entro il 20 settembre. Le regole sono nuove. E figlie del nuovo Patto di stabilità che i nostri parlamentari di maggioranza non hanno votato a Bruxelles, astenendosi. Ma che l’esecutivo ha benedetto in seno al Consiglio Ue di fine aprile.
Una contraddizione che esploderà, inevitabilmente, quando il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, come promesso «entro l’estate », presenterà il Def programmatico in Parlamento. Quella parte cioè del Documento di economia e finanza omessa in aprile, perché con le elezioni alle porte il governo ha preferito inserire cifre di deficit e debito per il prossimo anno solo “tendenziali”, a “politiche invariate”. In pratica, congelate: senza prevedere il rinnovo di almeno 20 miliardi di misure, tra cui il taglio del cuneo e dell’Irpef che ne valgono 15. «Una scelta prudenziale», si giustificò allora Giorgetti, «in attesa delle regole europee». Le regole stanno per arrivare. Assieme a un cartellino giallo per l’Italia.
«L’aggiustamento è pienamente alla nostra portata», diceva il ministro in Parlamento. E in effetti le cifre del Def congelato raccontano di un deficit che cala dal 7,4% dello scorso anno (il motivo dell’infrazione Ue) al 3% nel 2026. Ma con un debito che balla pericolosamente attorno al 139% del Pil (il tetto di Maastricht è il 60%), previsione non condivisa da Bruxelles che ci vede sforare già il 140%. Per paradosso, l’infrazione europea conviene all’Italia. Perché quando un Paese ha un deficit eccessivo, deve abbassarlo di mezzo punto all’anno (al netto della spesa per interessi). E mentre lo fa non deve applicare la nuova regola del Patto: il taglio del debito di un punto all’anno che dunque viene rimandato all’uscita dell’Italia dall’infrazione sul deficit.
Un gioco ad incastri tutto sommato favorevole. Non fosse che la regola base del nuovo Patto di stabilità – il tetto massimo della spesa netta da non sforare – non può essere derogata, a meno di circostanze eccezionali. E solo con l’autorizzazione del Consiglio Ue, ovvero degli altri governi, in questo momento (soprattutto Francia e Germania) alle prese con forti fibrillazioni politiche interne. Ecco quindi che l’Italia dovrà per forza di cose mettere i suoi conti pubblici a dieta.
Non ci saranno più “tesoretti”dausare (se ci fossero, sarebbero vincolati al fondo taglia-debito). O “extra deficit” da fare, come ormai tutte le manovre dal 2020 in poi ci hanno abituato. Se dunque spendere in deficit non è più un’opzione, da questa settimana si apre la caccia alle coperture per la manovra d’autunno.
Mentre infatti i tecnici dell’Economia passeranno l’estate a scrivere il Piano di bilancio con l’aggiustamento dei conti in 7 anni accompagnato dall’indicazione obbligatoria di riforme e investimenti da fare, il governo Meloni dovrà decidere se rinunciare a 20 miliardi di misure e stare in “traiettoria” Ue. O se salvarne almeno 15 (cuneo e Irpef) per evitare di perdere la faccia e alzare di fatto le tasse da gennaio.
Circa 7 miliardi potrebbero spuntare nei prossimi mesi, tra avanzi dei nuovi sussidi per la povertà (andati a metà dei beneficiari) e risorse dall’attuazione della delega fiscale. Per il resto, solo opzioni lacrime e sangue: tagliare la spesa (con sanità e scuola nel bisogno) o alzare le tasse, ad esempio Iva e accise.
Poi ci sono le rinunce. Possibile quella a rifinanziare il pacchetto pensioni da 630 milioni: Quota 103, Ape sociale, Opzione donna, aumento delle minime. La richiesta della Lega di fare Quota 41 sembralunare. Anzi, il governo sarà tentato di tagliare ancora l’indicizzazione degli assegni all’inflazione che da gennaio torna ad essere più favorevole. Che fine farà poi il taglio del canone Rai a 70 euro caro a Salvini (vale 430 milioni)? E la social card “Dedicata a te” di Lollobrigida (altri 600 milioni)? Lo sgravio per le mamme lavoratrici con due figli (368 milioni)? La garanzia per il mutuo prima casa delle giovani coppie (282 milioni)? Il pacchetto del welfare aziendale con i fringe benefit (483 milioni)?
Tutte misure che scadono a fine anno, figlie della politica miope dei bonus a tempo del governo Meloni, senza un disegno o una strategia. La manovra d’autunno più complessa degli ultimi anni comincia a delinearsi per quello che è: una manovra d’austerity.