Carcasse di animali morti e parti vietate con l’allarme mucca pazza che finivano indistintamente nella produzione di grasso per gli allevamenti e i fertilizzanti, e dunque venivano introdotte nella catena alimentare. Le indagini della forestale sul giro d’affari da oltre 3 milioni di euro. Coinvolto anche un biologo
Carcasse di animali morti, in decomposizione, uniti agli scarti di macelleria nel laboratorio degli orrori che da una parte produceva mangimi destinati agli allevamenti e alle industrie per la produzione di cibo per cani, dall’altra avrebbe dovuto smaltire i resti animali indattati alla trasformazione, come intestini e le parti che dopo l’allarme mucca pazza sono state sottoposte a rigide procedure di controllo. Tutte quelle che nello stabilimento, già sequestrato, venivano puntualmente disattese. Obiettivo: produrre e commercializzare il maggior quantitativo possibile di prodotto per mangime e feritlizzante, sfruttando la complicità dei veterinari, degli addetti ai macelli e di diverse ditte campane con cui l’organizzazione trafficava gli scarti animali.
E’ uno spaccato agghiacciante quello descritto dalla Guradia forestale che ha svelato il meccanismo della frode da 3,3 milioni di euro per la quale sono indagate 68 persone, tra i quali figurano 13 medici veterinari e un biologo. Le indagini sono partite dalle emissioni maleodoranti provenienti dallo smaltimento di rifiuti pericolosi da parte della ditta Idrapo di Trani e dall’inchiesta è emerso che sottoprodotti e scarti di origine animale che dovevano essere smaltiti come rifiuti in realtà sarebbero finiti nella catena di trasformazione per produrre mangimi per animali e quindi nella catena alimentare.
Un provvedimento cautelare era già stato disposto dalla Procura di Trani nel 2010 nei confronti della Idrapo. Dai controlli, emerse che l’impianto di lavorazione di scarti animali lavorava in assenza di autorizzazioni, in particolare di quella ambientale. Sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti finì il processo di trasformazione dei sottoprodotti di origine animale (Soa) per la produzione e il commercio di farine animali (i cosiddetti ‘ciccioli’) e dei grassi colati, impiegati per la formulazione di fertilizzanti. Si è scoperto così che le due linee di lavorazione – lo smaltimento delle carcasse e la produzione di farine animali – anziché restare distinte servivano invece ad alimentare la produzione destinata alla vendita.
Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al compimento di diversi reati quali il traffico illecito di rifiuti, falso ideologico, frode in commercio, truffa aggravata, emissione di fatture a fronte di operazioni inesistenti, sino alla dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti. A carico di alcuni veterinari in servizio nei macelli è ipotizzato il reato di omissione in atti d’ufficio, perché con il loro comportamento avrebbero innescato le condotte illecite.
Secondo gli inquirenti a tenere le fila della frode erano le ditte ‘Idapro srl’ e ‘F.lli Cavaliere srl’, entrambe aziende leader nel Sud Italia per la raccolta, la trasformazione dei sottoprodotti di origine animale e successiva commercializzazione delle materie prime derivanti. Tra gli indagati, accusati anche di aver fatto miscelare gli scarti, ci sono gli amministratori di quattro società che nel periodo sotto inchiesta hanno gestito gli impianti di transito, vale a dire Ecospano snc di Bovino (Foggia), Tsa Sud srl di Francavilla Fontana (Brindisi), F.lli De Carlo snc di San Pietro in Lama (Lecce), Adriagrass srl di Silvi Marina (Teramo); nonchè dei macelli ‘Comunale’ di Foggia, della ditta Mescia Rocco & F.lli srl di Foggia, di Noicattaro (Bari), Conversano (Bari) e Fasano (Brindisi).
Nel periodo di indagine la Idapro ha immesso sul mercato 3.200 tonnellate di grasso, diretto all’alimentazione dei polli allevati in rilevanti realtà economiche del centro-nord Italia, in Albania. Alcune partite erano dirette ad allevamenti spagnoli, gli unici ad accorgersi della pessima qualità della materia prima fornitagli. Inoltre, sono state vendute, come fertilizzante, 5.000 tonnellate di farine animali dirette a diverse aziende del sud Italia e, la stragrande maggioranza, esportate in Vietnam per usi alquanto dubbi. Gli investigatori hanno anche acclarato un ulteriore traffico intrattenuto con altri ‘colatori’ di aziende di trasformazione di ‘Soa’ campane. Il giro di fatture inesistenti ammonterebbe invece a circa 480.000 euro.
“Circa il profilo del pericolo per la salute umana e animale derivante dall’immissione di queste materie nel ciclo vitale – spiegano dalla forestale – si può affermare che una mediata pericolosità esisterebbe, secondo quanto riportato dalla letteratura scientifica fonte di ispirazione della normativa comunitaria, pur non essendo ancora circoscrivibile e definibile in quanto trattasi di matrici biologiche per le quali occorrono ulteriori approfondimenti”.
Repubblica – 19 aprile 2012