Licenziare un dipendente per scarso rendimento costituisce ancora oggi per il datore di lavoro in Italia un’opzione assai complessa, diversamente da quanto accade all’estero. Tuttavia, la modernizzazione del mondo del lavoro e il progressivo sfumarsi dei confini tra subordinazione e autonomia, hanno indotto la giurisprudenza degli ultimi anni a valorizzare anche il rendimento quale parametro valutativo della prestazione lavorativa, con conseguente legittimità del connesso licenziamento laddove risultino integrate alcune specifiche condizioni.
La Corte di cassazione (sentenza 23735/2016) ha innanzitutto precisato come debbano essere tenute distinte le ipotesi riconducibili a un licenziamento «ontologicamente disciplinare» in cui si addebitino al dipendente forme di «inadempimento» rispetto alla prestazione attesa, dai casi del tutto diversi in cui vi siano «ragioni organizzative dell’impresa» che possano avere influenza sulla valutazione «delle condizioni personali del lavoratore», quali la perdita di interesse del datore di lavoro alla prestazione (Cassazione 3250/2003), la inidoneità sopravvenuta alla mansione (Cassazione 12072/2015) e la eccessiva morbilità da cui derivi una scarsa continuità della prestazione (Cassazione 18678/2014).
Con particolare riferimento alla prima categoria di ipotesi di matrice strettamente disciplinare, la Suprema corte ha di recente ribadito i presupposti legittimanti il licenziamento per scarso rendimento: il datore di lavoro è tenuto a provare, da un lato, il «comportamento negligente» del dipendente che non sia ascrivibile «all’organizzazione del lavoro da parte dell’imprenditore ed a fattori socio ambientali» (elemento soggettivo) e, dall’altro, l’«enorme sproporzione» tra gli obiettivi fissati per il dipendente e quanto dallo stesso effettivamente realizzato rispetto ai «risultati globali riferiti ad una media di attività tra i vari dipendenti adibiti al medesimo incarico» (elemento oggettivo o benchmark – Cassazione 26676/2017, 18317/2016).
In questo quadro, è principio consolidato quello per cui il datore non può limitarsi a provare il mancato raggiungimento del risultato atteso ma è onerato della dimostrazione di un «notevole inadempimento» degli obblighi contrattuali del lavoratore, intesi quale «fatto complesso» (Cassazione 17371/2013), quindi non episodico ma caratterizzato da valutazioni che abbracciano un «apprezzabile periodo di tempo» (Cassazione 14310/2015).
Una valida soluzione utile a guidare la valutazione giudiziale circa la legittimità del licenziamento per scarso rendimento è certamente quella di formalizzare direttamente con il dipendente obiettivi predeterminati per ogni singola mansione o task assegnati, così da cristallizzare ex ante validi parametri di valutazione della prestazione lavorativa (e della diligenza attesa) e ridurre il margine di discrezionalità in un eventuale giudizio. Tale possibilità è già oggi presente nel lavoro agile, nel quale la prestazione viene misurata proprio «per fasi, cicli e obiettivi». Un’opportunità di cambiamento che vale la pena di cogliere.
Luca Failla – Il Sole 24 Ore – 8 marzo 2018