La notizia è stata rilanciata dall’Abc che punta il dito contro la pink slime (poltiglia rosa ottenuta dalla triturazione di ciò che rimane dalla macellazione e disossatura). Le scuole potrebbero bandire i prodotti a primo prezzo contenti il “fango rosa”. Hamburger fatti usando anche gli scarti dei macelli? Negli Stati Uniti sono il 70% di quelli venduti nei supermercati. Carne addizionata di Lean finely textured beef, meglio noto come Pink slime: una poltiglia ottenuta dalla triturazione di ciò che rimane dalla macellazione e disossatura dei capi di bestiame, lavata con ammoniaca e messa in percentuali variabili nella carne macinata prima di essere surgelata. Un’operazione del tutto legale, anche se condotta all’insaputa dei clienti.
I produttori non hanno infatti nessun obbligo di segnalare la presenza dell’additivo.
Ma è bufera, negli Usa, da quando un’inchiesta di Abc News ha svelato le dimensioni del fenomeno. Tanto che, dal prossimo autunno, molte scuole americane potrebbero bandire i prodotti a primo prezzo contenti la “melma rosa”.
Nei supermercati Usa non tutti i prodotti con la dicitura “100% carne bovina” dicono la verità. O meglio, la dicono solo a metà. In tre quarti della carne macinata statunitense, infatti, ci sono anche percentuali variabili di tendini, cartilagini e altre parti potenzialmente contaminate dalle feci degli animali macellati. Solo il grasso viene quasi completamente rimosso, con appositi metodi di centrifuga.
Non solo, memori dei problemi già avuti in passato da colossi come McDonald’s per i casi di Escherichia coli contratta da decine di suoi clienti (che hanno portato la catena a vendere solo hamburger molto ben cotti), compagnie come la Beef Products Inc. (Bpi), leader mondiale nel trattamento di carni disossate e surgelate, hanno pensato bene di disinfettare la poltiglia con ammoniaca. Un procedimento in uso dalla metà degli anni novanta ed approvato dal Dipartimento Usa dell’Agricoltura (Usda), che oggi ha però assunto dimensioni inquietanti.
Stanno infatti servendo a poco i tentativi di Bpi di rassicurare i propri clienti sulla genuinità della propria carne macinata: persino i più convinti carnivori della Fast Food Nation mostrano ormai delle perplessità. Poco efficace anche l’intervento di politici (repubblicani) come il governatore del Texas Rick Perry e quello dell’Iowa, Terry Branstad, che per rassicurare i cittadini sulla bontà dei prodotti Bpi (finanziatrice della campagna elettorale dello stesso Branstad) hanno mangiato pubblicamente hamburger contenenti il Pink slime.
Sul piede di guerra, ora, ci sono molte associazioni di consumatori e di genitori, soprattutto da quando è stato reso noto che gran parte delle mense scolastiche, per risparmiare, acquistano regolarmente prodotti contenenti l’additivo, maggiorati in peso e volume proprio grazie ad esso.
Anche la soluzione di questo problema, per chi proprio non può fare a meno del burger, è legata ai dollari, e consiste nel consumare carne da allevamenti biologici. Che, soggetta a severe restrizioni, è l’unica a non potere assolutamente contenere la melma rosa. Ma che, visto il costo dei cibi bio rispetto a quelli “tradizionali”, negli Usa non tutti si possono permettere.
Nonostante i timori di alcuni parlamentari democratici, per cui le scuole delle comunità più povere continueranno ad acquistare prodotti contenenti lo slime, l’Usda ha spiegato in un comunicato che i sistemi di produzione dell’additivo sono sicuri, e che il suo consumo non comporta pericoli per la salute. Inoltre, pur rifiutandosi di rilasciare ulteriori dichiarazioni ai cronisti di Abc News, lo stesso Dipartimento dell’Agricoltura ha rivelato che non sarà comunque previsto l’obbligo di indicare sulle etichette dei prodotti a base di carne bovina la presenza di Lean finely textured beef.
Un potenziale boomerang per l’industria dei beef product. Bpi, infatti, in poche settimane è già stata costretta dal calo dei consumi a chiudere tre dei suoi stabilimenti. Tutta colpa di una campagna mediatica scorretta nei suoi confronti, lamenta la compagnia americana, per cui il suo prodotto è addirittura “nutriente”. “Perché lo dovremmo etichettare?”, insiste Regina Roth, vice-presidente di Bpi: “Non sono disposta a dire che sia qualcosa di diverso dalla carne, perché è carne bovina al cento per cento”.
Il Fatto quotidiano – 30 aprile 2012