Luca Fraioli, Repubblica. Intervista ad Alessandro Carabelli, ricercatore a Cambridge del team di scienziati che a ha sequenziato il genoma della variante del coronavirus isolata nel Regno Unito. «Presto per dire se future mutazioni possano incidere sull’efficacia dei vaccini».
«Non c’è alcun motivo per nutrire dubbi sull’efficacia dei vaccini anti Covid. E il fatto che anche l’agenzia del farmaco europea abbia dato il via libera mi riempie di gioia. Anche per i miei genitori che vivono a Crema». Alessandro Carabelli, nato a Bergamo 38 anni fa e ricercatore dell’università di Cambridge, fa parte del ristretto team di scienziati che a ha sequenziato il genoma della variante del coronavirus isolata nel Regno Unito. Ma avverte: «È presto per dire se future mutazioni possano incidere sull’efficacia dei vaccini».
Quali le caratteristiche di questa variante?
«Si sta diffondendo con una velocità superiore ad altre. In generale il coronavirus muta molto lentamente, al ritmo di una o due mutazioni al mese. Ci sono virus molto più rapidi, come l’Hiv. Eppure in questa variante abbiamo osservato 23 mutazioni in poche settimane».
Queste 23 mutazioni come cambiano il virus?
«Tre su 23 mutazioni sono sulla proteina spike, quella usata dal virus per agganciarsi alle cellule umane e che i vaccini usano come bersaglio».
Potrebbe spiegare la maggiore “contagiosità” di questa variante?
«Non sappiamo se l’accelerazione osservata dipenda da come è mutata la proteina spike: stiamo predisponendo esperimenti in laboratorio per stabilirlo. Di certo, però, i nostri dati di monitoraggio genetico ci dicono che questa variante cresce del 70 per cento rispetto alle altre».
Quali sono le mutazioni di cui dovremmo preoccuparci?
«Noi monitoriamo tutte le mutazioni che potrebbero avere un ruolo immunologico, cioè legato ai vaccini e alle terapie con anticorpi monoclonali. Un ruolo biologico, legato infettività, trasmissione e virulenza. Un ruolo legato alla resistenza ai farmaci. E persino uno legato ai diagnostici, come la pcr usata nel tampone molecolare».
Ma perché la variante è comparsa nel Regno Unito?
«Non è comparsa qui, è stata trovata qui. E se è stata trovata è perché il Regno Unito ha messo in campo uno sforzo senza precedenti per mappare il genoma del Coronavirus. Ci sono stati circa due milioni di infetti e il consorzio Cog-Uk, che comprende istituzioni pubbliche e molte università, ha sequenziato 150mila genomi di virus, il 60 per cento dei sequenziamenti effettuati al mondo. In Italia i contagi sono stati sostanzialmente gli stessi, ma sulle banche dati aperte agli scienziati ci sono solo 976 genomi sequenziati. Se una variante è comparsa altrove è facile che nessuno se ne sia accorto».
Perché è così importante conoscere il genoma del nemico?
«Monitorando le mutazioni vediamo cosa sta succedendo al virus, come cambia. E incrociando le informazioni genetiche con quelle epidemiologiche capiamo come le diverse varianti si trasmettono tra le persone e come innescano i focolai. Avremmo bisogno di molte più sequenze di genomi e di una grande collaborazione internazionale per la mappatura genetica, anche nell’ottica di vaccini più efficaci».
In che senso?
«I vaccini stanno entrando in commercio e ci si augura che funzionino. Ma ci potrebbe essere l’eventualità che non neutralizzino qualcuna delle varianti. Ci si sta preparando a questa eventualità? Noi, per esempio, dialoghiamo con l’agenzia regolatoria del farmaco britannica, la Mhra, per poter fornire analisi dei genomi virali nel processo di farmacovigilanza. Oltre ai genomi del virus dovremo raccogliere anche informazioni dal singolo paziente: che vaccino hai fatto? È la prima volta che sei positivo? Queste domande ci metteranno nella condizione di capire come il virus risponderà ai diversi vaccini in commercio».
Carabelli, come è arrivato a occuparsi di Covid a Cambridge?
«Mi sono laureato alla Statale di Milano in Biotecnologie del farmaco. Poi, per diversi anni, ho insegnato Scienze in una scuola di Crema. Nonostante ami l’insegnamento, nel 2015 ho deciso di riprendere a fare ricerca e ho vinto una borsa di dottorato all’Università di Nottingham. Quando è esploso il Covid e ho visto quello che stava succedendo nella mia Bergamo ho cercato di dare il mio contributo. Mi hanno preso a Cambridge e ora lavoro con il consorzio Cog-Uk».