Pecore e non solo. I danni collaterali della blue tongue investono anche il comparto bovino. E sono imponenti, se non vi si porrà rimedio, «e non soggetti a rimborso», ammonisce Antonio Montisci, responsabile del servizio di sanità animale della Asl 5. Perché il blocco della movimentazione del bestiame riguarda anche i bovini, recettori e potenziali veicoli della malattia.
Arborea è l’epicentro di questotsunami. Danni stimati, 500mila euro, risultato della mancata vendita degli animali da carne. Lo scenario, a essere ottimisti, è di almeno 2600 vitelli da carne bloccati da qui a dicembre nelle stalle del Centro ingrasso, Strada 20 est, di Arborea. È la struttura della cooperativa produttori carni, che poi sono gli stessi della 3A: circa 160 allevatori che hanno deciso di capitalizzare i vitelli maschi della frisona, la star nella produzione del latte Arborea. Il top per il latte ma non per la carne; ecco perchè ha un mercato ristretto. I vitelli che ingrassano – e stante il blocco della movimentazione, ormai a rischio obesità – sono normalmente destinati ai mercati della penisola. In particolare Romagna e Veneto, dove la cooperativa, trascorso un mese dalla nascita, li invia a centri di ingrasso specializzati in carni bianche. Ma blue tongue è l’argine sul quale si infrange la possibilità di varcare il mare. E se non possono partire, i vitellini diventano vitelloni. Mangiano a sbafo. Occupano posti. Richiedono cure di personale. Costi senza ricavi.
Il problema riguarda i frisoni. Da tre anni Arborea ha perseguito una politica dell’incrocio di questo tipo di bovino da latte con altre razze da carne: Limousine, Charolaise. Nei primi sei mesi del 2013, la coop ne ha acquistato circa 2600 nel mercato isolano. I vitelli incrociati vengono ingrassati e macellati in Sardegna. Altro discorso per i vitelli di Frisona; oggi nelle stalle del Centro ce ne sono 600, ma da qui alla fine dell’anno il numero lieviterà a 2600. Gianni Sardo, presidente della cooperativa: «L’unico mercato per questo tipo di vitello è nella penisola. Rischiamo di avere gli animali fermi nella stalla». I conti si fanno in fretta: ogni vitello in stalla costa circa 100 euro al mese. Con il blocco della movimentazione (devono trascorrere 60 giorni dall’ultimo focolaio), si rischia di dover sostenere costi per 520mila euro per bestie che non saranno vendute. L’altro giorno alla coop sono arrivati degli imprenditori libici. «Siamo disposti a darli a prezzo di costo, se oggi un vitello costa 50 euro, tra un mese, quando i libici torneranno, quasi glieli regaliamo», dice Sardo. Ma solo se il ministero della Sanità dirà che si può mandarli all’estero; ancora non ci sono risposte.
Una scappatoia c’è. Sarà proposta martedì, al tavolo tecnico convocato in Regione. «I vitelli che succhiano il latte dalle madri vaccinate sono immuni per 90 giorni», dice il dottor Montisci. Nelle norme che bloccano la movimentazione dei bovini, non si tiene conto di questa aspetto. È un problema che può risolvere solo la politica. A Arborea lo sperano vivamente. Prima che i danni collaterali travolgano il sistema.
La Nuova Sardegna – 9 settembre 2013