I “furbetti delle sanzioni” ci hanno provato in tutti i modi. Triangolando forme di Parmigiano- Reggiano su San Marino, inviando Tir carichi di mele e pomodori in Serbia e Montenegro per dribblare il blocco. Niente da fare. La cortina di ferro commerciale alzata tra Italia e Russia dalla guerra in Ucraina ha tenuto fino a oggi alla grande. E a due anni dall’inizio dell’embargo, al Belpaese non resta che leccarsi le ferite.
Il conto parziale delle perdite è salatissimo, specie in quest’era di vacche magre per il Pil tricolore: le nostre esportazioni verso Mosca nel 2015 sono state pari a 7,1 miliardi, 3,6 in meno in meno rispetto a due anni prima. L’interscambio tra i due paesi si è addirittura dimezzato dal 2014. Le cose stanno andando un po’ meglio da inizio 2016 — ad aprile il calo è stato solo (si fa per dire) del 9,6% — ma il bilancio resta da Caporetto. Non a caso l’Italia Spa si sta muovendo da mesi per provare ad allargare le maglie delle sanzioni.
LO STRAPPO DEL VENETO
Il Veneto di Luca Zaia, dopo aver visto andare in fumo quasi 600 milioni di ricavi delle sue aziende, ha provato a sparigliare le carte per ingraziarsi Vladimir Putin, approvando in Consiglio Regionale — come hanno fatto solo Corea Del Nord, Siria e Zimbabwe — una mozione per il riconoscimento della Crimea. Renzi, seguendo vie più istituzionali, è in pressing sulla Ue per sbloccare una situazione che vede proprio l’Italia tra i paesi più penalizzati.
La mannaia delle sanzioni non ha risparmiato nessun comparto del made in Italy. La meccanica — che rappresenta più di un terzo delle nostre esportazioni verso la Russia — è crollata del 25% negli ultimi 12 mesi. L’agroalimentare ha bruciato 250 milioni dall’inizio dell’embargo, con le vendite di formaggi crollate addirittura del 97%. Quote di mercato difficili da recuperare anche quando la situazione tornerà alla normalità perché Bielorussia e Mosca — quando la Ue ha chiuso i rubinetti — hanno colto la palla al balzo per lanciare una campagna di investimenti straordinari nell’ortofrutta e nel caseario.
IL FALSO MADE IN ITALY
Gli scaffali dei supermercati russi, oltretutto, si sono riempiti negli ultimi mesi di imitazioni dei prodotti made in Italy come la caciotta “Quattro formaggi” (l’etichetta è in italiano) stagionata dalle parti di Minsk e le trecce di “Unagrande mozzarella”, filate a poca distanza dal Cremlino.
L’elenco delle vittime dell’embargo è lungo: Assocalzaturifici dichiara un -32,5% di vendite; l’arredamento (per cui la Russia era il terzo mercato di sbocco) ha visto il suo volume d’affari scendere da 900 a 500 milioni l’anno, moda e tessile hanno bruciato un miliardo di ricavi dal 2014.
Se l’Italia piange, il resto dell’Europa ha poco da ridere. In due anni le esportazioni dei 28 paesi Ue verso Mosca hanno bruciato 45 miliardi.
MAL COMUNE, MEZZO GAUDIO
La Germania, primo partner di Putin, nel 2015 ha visto andare in fumo 7,4 miliardi di esportazioni (-25%), la Francia ha perso il 33%, la Grecia — piove sempre sul bagnato — il 40%. Cifre che spiegano da sole la garbata ma fermissima moral suasion con cui Bruxelles sta provando ad ammorbidire le sanzioni. Gli Usa, per ora, restano fermi sulla linea dura. Capire il perché non è difficile: anche loro hanno visto le vendite a Mosca perdere il 20%. Peccato che la Russia rappresenti soltanto lo 0,46% del loro export totale.
Repubblica – 19 giugno 2016