L’indicazione è partita direttamente da Palazzo Chigi. Quando mercoledì i rappresentanti dei 28 Paesi dell’Ue in seno al Relex, il comitato tecnico che si occupa di sanzioni, si sono ritrovati a Bruxelles, la presidenza lussemburghese pensava si trattasse di una pura formalità. All’ordine del giorno in punto A, cioè senza discussione, era il roll-over , il rinnovo automatico per 6 mesi delle sanzioni alla Russia per l’Ucraina. Al Coreper, dove siedono gli ambasciatori, sarebbe rimasto solo il compito della ratifica formale. Ma le istruzioni date da Roma al delegato italiano parlavano chiaro: nessun automatismo e nessuna decisione a livello tecnico.
Così, su nostra richiesta, il tema è stato tolto dall’agenda. Quasi sicuramente la decisione finale verrà presa al massimo livello, cioè dai capi di Stato e di governo, al Consiglio europeo in programma a Bruxelles giovedì e venerdì della prossima settimana.
È la prima volta che l’Italia alza la voce su un tema incandescente come l’embargo a Mosca. Fonti diplomatiche tengono a precisare che in discussione non è il rinnovo, sul quale il governo di Roma intende procedere d’intesa con i partner comunitari e transatlantici. Tanto più che le sanzioni sono l’unica leva negoziale in mano agli occidentali, nella partita legata all’applicazione degli accordi di Minsk.
Anche se ogni legame tra dossier affatto diversi viene negato con decisione, è chiaro che la scelta cada nel contesto di un quadro internazionale in piena evoluzione, nel quale Mosca cerca di riannodare i fili del dialogo strategico con l’Occidente, su temi cruciali come la lotta al terrorismo jihadista o il rapporto con l’Iran.
Ma rivendicando l’opportunità di una riflessione a più alto livello, l’Italia si pone in realtà due obiettivi.
Il primo, come spiegano le fonti, è porre il problema delle modalità dell’attuale processo decisionale europeo, giudicato «farraginoso» e incline a mettere i partner comunitari davanti a un fait accompli , troppo spesso oscuro e privo di sensibilità politica.
L’altro obiettivo italiano, e qui le sanzioni alla Russia fanno solo da gancio, è usare l’occasione del loro rinnovo per «aprire una conversazione tra i partner sulla sicurezza energetica in Europa», tema sul quale tanto per cambiare l’Ue si muove in ordine sparso e contraddittorio.
Proprio nei giorni scorsi, infatti, il nostro Paese ha chiesto formalmente a Bruxelles di imporre al gasdotto Nord Stream le stesse regole di apertura al trasporto di Paesi terzi, che erano state richieste al progetto South Stream, poi abbandonato. In giugno, il consorzio Nord Stream (di cui, con i russi di Gazprom, fanno parte i tedeschi di E.On e Wintershall, i francesi di Gdf Suez e gli olandesi di Gasunie) ha deliberato di realizzare una seconda struttura con una mega-capacità di 55 miliardi di metri cubi di gas. Detto altrimenti, mentre si applicano le sanzioni a Mosca, grandi Paesi europei fanno i loro grandi affari, legando ulteriormente i propri destini energetici alla Russia, con buona pace della diversificazione delle fonti di approvvigionamento, a parole considerata necessità esistenziale per l’Europa.
Nella discussione preventiva chiesta dall’Italia sul rinnovo delle sanzioni resta ovviamente anche un elemento di merito. Scontato il loro prolungamento per 6 mesi, compromesso tra i minimalisti che ne chiedevano 3 e i massimalisti che avrebbero voluto addirittura un anno, è evidente che il nostro Paese voglia aprire una riflessione sulla loro reale efficacia, in rapporto allo scopo che ci si era prefissato al momento di vararle: quello di costringere Mosca a cambiare atteggiamento sull’Ucraina.
Paolo Valentino – Il Corriere della Sera – 11 dicembre 2015