di Stefano Simonetti, Il Sole 24 Ore sanità. Più volte mi sono occupato su questo sito della questione dell’obbligo di vaccinazione del personale sanitario (11 e 18 gennaio, 22 febbraio, 12 aprile, 13 settembre e 25 ottobre) e di tutte le delicate questioni ad esso connesse e, in particolare, di quelle relative alle sospensioni dall’Ordine e dal servizio. È di ieri la notizia che il Consiglio di Stato, sez. III, con decreto n. 6401 del 2.12.2021, ha respinto l’istanza cautelare di appello contro il decreto del Tar Abruzzo che aveva rigettato il ricorso di un medico contro la sospensione dall’Ordine. La pronuncia del Consiglio di Stato è molto breve e appare inequivocabile sul tema, confermando in pieno quanto già deciso dal medesimo Giudice amministrativo appena un mese e mezzo fa quando, sempre la sezione III, con la sentenza n. 7045 del 20.10.2021, ha dichiarato in 98 articolate pagine la piena legittimità dell’obbligo vaccinale per i sanitari.
A prescindere dal merito della problematica – che sembra oramai ampiamente consolidato nel senso della legittimità del decreto legge 44/2021 del marzo scorso – vorrei segnalare in questa sede una singolare circostanza, sempre relativa all’obbligo vaccinale, ma di natura formale. Infatti, pochi giorni prima del deposito della pronuncia sopra ricordata, un altro Giudice amministrativo ha assunto una decisione del tutto diversa seppure nella forma, come detto, e non nel merito. Si tratta del ricorso presentato da molti medici nei confronti di tutte le aziende sanitarie della Liguria contro la sospensione operata dai rispettivi datori di lavoro e dagli Ordini provinciali. Ma la chiamata in giudizio delle Asl territoriali non era come aziende datrici di lavoro bensì per gli atti di accertamento di competenza dell’Asl di residenza che esse avevano adottato in via prodromica alla sospensione dell’Ordine dei medici. Con la sentenza n. 648 del 22.11.2021 il Tar Liguria, sez. I, ha affermato che nell’ipotesi di atti datoriali – che in realtà tali non sono – la cognizione della controversia spetta al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 per i dipendenti pubblici e dell’art. 413 c.p.c. per quelli privati. In via residuale, solamente nel caso di sanitari con rapporto di diritto pubblico non contrattualizzato (ad esempio, medici militari o della polizia di Stato), comunque non interessati al ricorso in questione, l’impugnativa del provvedimento datoriale dovrebbe essere proposta innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, alla luce dell’art. 3 del d.lgs. n. 165/2001. Per ciò che concerne invece i conseguenti provvedimenti ordinistici di sospensione dall’esercizio della professione, la competenza giurisdizionale appartiene alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, organo con funzioni di giurisdizione speciale. La vicenda è palesemente complessa perché si intrecciano i provvedimenti adottati, nell’ordine, dalla Asl di residenza, dal rispettivo Ordine professionale e dall’azienda sanitaria datrice di lavoro che potrebbe essere anche diversa da quella di residenza.
Che si finisse così era piuttosto prevedibile: nell’articolo pubblicato il 12 aprile scorso segnalavo l’estrema contorsione della procedura introdotta dal decreto legge 44 e, in particolare, in relazione al contenzioso precisavo: «Molti – anche su mass media importanti – si sono chiesti se il decreto-legge sarà oggetto di ricorsi. Ebbene una disposizione di legge si può impugnare a livello individuale solo alla Corte costituzionale e solo in via incidentale e non direttamente. Ma quello che è a rischio è l’applicazione in concreto della sospensione che, al contrario, essendo un atto del datore di lavoro è senz’altro azionabile davanti al giudice. E non saprei nemmeno se davanti al giudice ordinario – in quanto non è un atto connesso al rapporto di lavoro disciplinato dalle norme civilistiche e contrattuali – o al Tar in quanto atto amministrativo autoritativo, unilaterale e non pattizio che applica una legge, atto rispetto al quale il giudice amministrativo potrebbe trovare vizi di legittimità quali, a scelta, motivazione carente o insufficiente, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, illogicità e contradditorietà, disparità di trattamento, mancanza di idonei parametri di riferimento». Puntualmente si è verificato il caos annunciato e l’unica certezza attuale è l’esito dei ricorsi che – sia davanti al Giudice amministrativo che davanti al Giudice ordinario – risultano tutti respinti.