Veterinari pubblici veneti sempre in prima linea, con le emergenze che si susseguono senza sosta. Dopo lo scoppio della Blue tongue quello che temevamo è infatti avvenuto: il Veneto è al centro dell’epidemia di influenza aviaria ad alta patogenicità H5N8, con quattro focolai confermati in allevamenti delle province di Venezia, Padova, Rovigo e Verona. Cui si aggiungono due casi nel Mantovano, nelle vicinanze del confine veronese, che hanno interessato con la zona di sorveglianza, e tutte le restrizioni che questo comporta, parte del nostro territorio e delle aziende venete. Da novembre il virus minaccia l’Europa e la nostra Regione, con una densità elevata di allevamenti avicoli e la presenza di aree umide, in cui transitano gli uccelli selvatici migratori, è da sempre tra le aree ritenute a maggior rischio. Rischio che i veterinari di medicina pubblica del Veneto hanno ben presente e su cui da tempo richiamano l’attenzione della Regione. Ricordiamo che l’aviaria è una delle epidemie potenzialmente più rovinose per il comparto avicolo ed è al contempo una grave emergenza sanitaria per le caratteristiche zoonosiche del virus.
E’ indispensabile un’azione tempestiva che contrasti con decisione il contagio e la diffusione dell’infezione. I veterinari pubblici sono in campo con compiti di sorveglianza aumentata, misure straordinarie restrittive, controlli a tappeto negli allevamenti e sui selvatici. Una strategia di contrasto complessa e capillare che ha bisogno di una macchina organizzativa efficiente e di organici adeguati a questi e agli altri compiti che la sanità veterinaria pubblica deve assolvere.
I servizi veterinari delle Ulss sono alla stremo, il personale che va in quiescenza non viene sostituito e le forze in campo si assottigliano settimana dopo settimana. La struttura regionale veterinaria, declassata da luglio a semplice unità organizzativa, relegata a rimorchio di strutture mediche, può contare ormai su un numero esiguo di unità lavorative. Solo l’abnegazione e la disponibilità del personale ha permesso fino ad ora di assicurare una regia alle azioni di contrasto del virus.
Ma di fronte ad emergenze sempre più serie e incalzanti il sovraccarico dei compiti non può rappresentare una garanzia di risposta efficiente. Né può essere considerato “normale”, neppure nel corso di un’emergenza, che un veterinario pubblico arrivi a lavorare un numero spropositato di ore.
Perché questo significa che è mancata una programmazione organizzativa e sanitaria adeguata, che sono venuti meno gli investimenti e le capacità di previsione. La tutela salute pubblica non può essere affidata solo alla buona volontà dei singoli, deve poter contare su risorse umane e strumentali adeguate e su una catena di comando autorevole, competente ed efficace. Da mesi, in modo sempre più pressante, il Sindacato dei veterinari pubblici del Veneto chiede interventi immediati per potenziare gli organici e l’assetto dei servizi veterinari delle Ulss e perché la struttura regionale competente abbia una strutturazione adeguata ai compiti da assolvere e al ruolo strategico che riveste. Invano.
Intanto la Blue tongue, con l’arrivo della primavera e la ricomparsa dei vettori, anche a causa delle mancate vaccinazioni a tappeto, potrebbe riprendere piede. E altre incombenze si sommano: dai controlli sulle matrici alimentari e sulle acque di abbeverata per la ricerca dei Pfas ai piani di sorveglianza per la West Nile disease, altra temibile patologia trasmessa da vettore, ormai endemica in tanta parte del territorio veneto.
Oggi non nascondiamo la nostra preoccupazione. Crediamo sia arrivato il momento di un confronto serio e costruttivo. La posta in gioco è altissima per la salute dei cittadini e per l’economia di una regione leader a livello europeo per l’agroalimentare.
Il direttivo del Sivemp Veneto
22 febbraio 2017