L’asso nella manica lo cala Mauro Bonin, il direttore della programmazione finanziaria in sanità della Regione: «La nostra proposta è quella di costituire un’azienda-zero, cioè una holding tecnico-gestionale-amministrativi che sgravi le Ulss di tutti i compiti extra-sanitari: queste ultime calerebbero di numero, dalle 21 attuali a 12, secondo un criterio che ne prevede 2 nelle province di Venezia, Padova, Verona, Treviso e Vicenza; 1 a Belluno e Rovigo; a queste si aggiungerebbero le Aziende ospedaliere di Padova e Verona, nonché lo Iov per un totale di 15». E sul fronte ospedali? «I piccoli e i doppioni vanno riconvertiti in presidi di comunità e day surgery, perché gli ospedali generalisti costano troppo mentre le cure spalmate sul territorio sono più efficaci e meno onerose». I primi in lista per la cura dimagrante? Bonin esita e allora li ipotizziamo noi: Feltre, Adria, Chioggia, Arzignano, Piove di Sacco, Bussolengo…
Al suo fianco, il direttore generale Domenico Mantoan, sorride volpino e annuisce: «Illusorio sperare che la politica si muova prima delle elezioni, ma questo processo è indispensabile se vogliamo garantire il futuro della nostra sanità. C’è un mio amico, l’avvocato Massimo Malvestio, che, stanco di sentirsi dare ragione a giochi fatti, si è trasferito a Malta. Speriamo di non doverlo imitare».
«Prima farete questa riforma e meglio sarà», commenta il docente della Bocconi Francesco Longo, tra i relatori finali, che introduce la questione delle retribuzioni: «È vergognoso che direttori generali incaricati di gestire fino a mezzo miliardo, percepiscano uno stipendio lordo annuale di 123 mila euro, inferiore a quello dei dirigenti anziani sottoposti. Così non avremo mai i manager migliori sul mercato».
Il bocconiano è fautore della nascita per fusione di maxiUlss (in Lombardia ne stanno progettando 5, ciascuna con un bacino di 2 milioni di utenti) mentre Sabina Nuti (docente alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa) è di parere opposto, convinta che «le aziende sanitarie di grandi dimensioni diventano ingovernabili».
A proposito: «Noi rifiutiamo un approccio moralistico al sistema dei compensi», fa sapere Franca Porto, leader cislina «giusto premiare merito e responsabilità e se ciò favorisce l’efficienza, va bene lo spoil system manageriale del vincitore. Ad una condizione: che a fine mandato non si traduca in una ricollocazione di comodo»; ce n’è anche per gli assessori: «Uno alla sanità, un altro all’assistenza, complicanza assurda visto che si tratta di applicare un Piano socio-sanitario i cui errori, non dimentichiamolo, si riversano su pazienti e lavoratori».
E i consiglieri regionali? Polemici per l’esclusione iniziale, hanno finalmente ricevuto l’invito ma ieri, a Mestre, l’unico intervento è stato quello del decano Carlo Alberto Tesserin: «La nostra sanità funziona bene, vi diciamo grazie ma dobbiamo chiedervi di lavorare ancora meglio, perché se a prevalere fosse il centralismo romano, beh, per i veneti sarebbe una tragedia». (Filippo Tosatto – Il Mattino di Padova – 1 febbraio 2015)
La proposta dei manager: «Meno costi e dg sotto controllo». Due Usl a Venezia-Padova-Verona-Vicenza-Treviso, una a Belluno e a Rovigo. Più 2 Aziende e l’Iov
Il primo a parlarne, nel 2006, fu Giancarlo Ruscitti, allora responsabile regionale della Sanità, che presentò un piano per accentrare il governo del settore e del Sociale nella sua segreteria, da trasformare in una holding di controllo, con le Usl destinate a diventare «satelliti» e a scendere da 21 a 7, una per provincia. Una strategia finalizzata a ottenere più efficienza e minori costi, ma che non ottenne consensi, nè dalla politica nè dalle parti sociali, perciò tornò nel cassetto.
Dall’era Galan alla presidenza Zaia: oggi quell’idea rispunta fuori, riveduta e corretta dal team di tecnici che fa capo all’attuale direttore generale della Sanità, Domenico Mantoan. Il nuovo progetto, già nero su bianco, prevede la creazione di un «ente strumentale» della Regione, come Veneto Sviluppo o l’Arpav, totalmente pubblico e incaricato di accentrare le funzioni tecnico-amministrative oggi svolte in proprio da ciascuna delle 24 aziende sanitarie. Si riparla di una holding della Sanità, chiamata a un ruolo di controllo e gestione diretta dell’attività amministrativa, da sottrarre alle Usl nell’ottica di razionalizzare i costi riducendo a uno 24 sistemi diversi, ma anche di potenziare il controllo della Regione sui direttori generali. I quali continuerebbero a gestire i soldi del Fondo sanitario a loro distribuiti dalla giunta di Palazzo Balbi, ma sotto la sua stretta «regia». Lo ha illustrato ieri a Mestre Mauro Bonin, direttore della Programmazione risorse finanziarie del Sistema sanitario regionale, agli «Stati generali della Sanità». «La holding, che riunirebbe noi tecnici di settore, fornirebbe alle Usl servizi come la gestione del personale, le buste paga, la programmazione, gli acquisti e le gare sopra la soglia europea, l’informatica, la comunicazione — spiega Bonin —. Insomma, assumerebbe i compiti svolti dagli uffici amministrativi delle Usl, che dovrebbero assumere altro personale, con un aggravio dei costi. Così invece risparmieremmo, potremmo predisporre una tesoreria comune e una gestione contabile unica, riducendo gli appalti».
Il progetto prevede poi che i dg delle aziende sanitarie, nominati dal governatore, non rispondano più solo a lui, bensì al responsabile della Sanità. Così il loro controllo, da parte della segreteria di Settore, sarà totale. Nella riforma torna infine il taglio delle Usl, «probabilmente a 15», ipotizza Mantoan, e la conversione alla medicina territoriale dei più piccoli e periferici dei 75 ospedali veneti. Sarà tema di dibattito elettorale e intanto la Regione comunica il calo da tre miliardi a uno del debito con i fornitori (grazie al prestito di 1,6 miliardi ottenuto dallo Stato e che va restituito 60 milioni l’anno), ora pagati a 70 giorni di media(prima si sforavano i 12 mesi). Risparmi fondamentali, da usare per esempio per i farmaci di nuova generazione. «Il sistema Veneto ha retto bene — rivela Luca Pani, direttore generale dell’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) — ha ridotto la spesa farmaceutica convenzionata da 451 a 436 milioni di euro e anche la ricette, da 31 a 30 milioni perché rese elettroniche. Ma se ora lo Stato non apre un fondo di un miliardo in due anni per l’acquisto dei farmaci innovativi, non potremo darli ai malati. Si tratta di oncologici, antinfettivi come quelli contro epatite C e Hiv, novità a contrasto di fibrosi cistica, Alzheimer, Parkinson e Sla, medicinali per le malattie cardiovascolari, vaccini per la polmonite». «Se il governo non opera una scelta responsabile bloccando i tagli alla sanità, non saremo più in grado di garantire farmaci che salvano la vita a molte persone — conferma Mantoan —. Abbiamo razionalizzato tutto il possibile». Il rischio, a livello nazionale, è dover ritoccare le fasce di farmaci passati dal Sistema sanitario, togliendo dalla convenzione i meno cari. (Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto)
1 febbraio 2015