Per provare a tagliare i tempi che impiegano le amministrazioni pubbliche a onorare le fatture dei fornitori la manovra mette nel mirino anche le buste paga dei manager. E lo fa nella sanità, dove il calendario delle attese è più lungo: almeno il 30% dei “premi”, cioè della «retribuzione di risultato» secondo il lessico dei contratti, riconosciuti a direttori generali e amministrativi di aziende sanitarie e ospedaliere andrà collegato alle performance dell’azienda nei tempi di pagamento: e l’intera somma potrà evaporare quando i ritardi superano i 60 giorni, oppure quando non si è riusciti a smaltire almeno il 10% del debito residuo. Negli altri enti territoriali, dalle Regioni ai Comuni, le sanzioni riguarderanno invece i bilanci, imponendo tagli fino al 5% delle spese destinate all’acquisto di beni e servizi.
Il tema dei mancati pagamenti delle pubbliche amministrazioni è tornato al centro dei lavori della manovra con gli emendamenti governativi presentati al Senato per due ragioni. La prima è legata al fatto che il problema continua a complicare la vita delle aziende che lavorano con le Pa, e ha un ruolo non secondario nelle crisi a catena che stanno colpendo il settore dei lavori pubblici. La seconda ragione, ancora una volta, nasce in Europa: i monitoraggi telematici in tempo reale dei pagamenti pubblici messi in campo nella scorsa legislatura non sono bastati a convincere la commissione sulla capacità italiana di far rispettare agli enti pubblici i tempi di legge (30 giorni, 60 nella sanità), e su Roma pende ora il giudizio della Corte Ue.
Per ovviare al problema, la legge di bilancio ora al centro della complicata navigazione a Palazzo Madama tenta una soluzione in due mosse. La prima, per smaltire l’arretrato, è fatta di anticipazioni che gli enti territoriali potranno richiedere alla Cassa depositi e prestiti o alle banche entro metà febbraio per onorare a stretto giro (in 15 giorni, che raddoppiano a 30 nella sanità) i propri debiti arretrati. Comuni e Province potranno chiedere fino a 3/12 delle proprie entrate (quindi oltre 15 miliardi a livello complessivo), e le Regioni fino al 5% (7 miliardi). I prestiti andranno restituiti entro metà dicembre 2019, ma potranno essere revocati se il monitoraggio mostrerà che i fondi non sono stati usati in tempo utile per liquidare le fatture. Con un emendamento dei relatori, poi, viene replicato anche per l’anno prossimo il meccanismo che alza da 3 a 5/12 (quindi da 15 a 20 miliardi) la possibilità per i sindaci di chiedere le anticipazioni di tesoreria ordinarie. Questi ultimi prestiti non sono vincolati esplicitamente al pagamento dei debiti commerciali, ma aiutano. In pratica, insomma, tra corsia ordinaria e straordinaria l’anno prossimo ogni sindaco potrà chiedere prestiti fino a 8/12 delle proprie entrate, una somma monstre che a livello di comparto supera i 40 miliardi di euro.
Se nemmeno questa ondata di liquidità si rivelerà sufficiente a scalare la montagna dei debiti arretrati, l’anno successivo scatteranno le sanzioni. Quelle destinate a far più discutere riguardano appunto i manager della sanità. Oltre al taglio del 30% riservato ai casi più gravi (60 giorni di ritardo medio e mancato smaltimento del 10% dei debiti residui), la norma ora sui tavoli del Senato prevede una scalettatura che riduce il taglio per le situazioni patologiche ma non disperate, dal 15 al 5 per cento a seconda dei casi. La stessa “progressività” riguarderà le spending review obbligatorie destinate agli altri enti territoriali, che potranno arrivare fino al 5% delle spese destinate all’acquisto di beni e servizi. Ma lontano dalla sanità, almeno stando ai testi circolati finora, i dirigenti non saranno chiamati a pagare di tasca propria i ritardi dell’amministrazione che guidano.
IL SOLE 24 ORE
Gianni Trovati
Potrebbe interessarti anche
Scrivi un commento