E alla fine, dopo mesi di tira e molla tra governo e Regioni, la scure sulla sanità si è abbattuta davvero. Ieri la Conferenza Stato-Regioni ha convenuto di tagliare 2,352 miliardi al Fondo sanitario 2015 e altri 285 milioni all’edilizia sanitaria, per una sforbiciata totale di 2,637 miliardi di euro. Per il Veneto, l’unico insieme alla Lombardia a non aver partecipato alla seduta perché contrario e infatti ricorrente alla Corte costituzionale contro la legge di stabilità (la giunta Maroni farà lo stesso), significa perdere 240 milioni. Da quali voci sottrarli non è ancora stabilito, tutte le Regioni hanno tempo fino al 31 marzo per deciderlo e segnalarlo al ministero dell’Economia. Se non dovessero adempiere a tale compito, che rientra nell’intesa siglata ieri, ci penserà il governo a «procedere a tagli lineari».
«Ho formalizzato il no del Veneto alla riduzione delle risorse di settore sin dalla Conferenza dei presidenti e quel rifiuto rimane valido — commenta Luca Coletto, assessore alla Sanità e coordinatore nazionale —. Nessuna decurtazione è per noi accettabile, soprattutto perché tale manovra è finalizzata a regalare ancora una volta una boccata d’ossigeno alle giunte in rosso. E quindi si agevola chi spreca invece di premiare le Regioni virtuose come il Veneto, che da cinque anni vanta conti in ordine pur non avendo l’addizionale Irpef, ha già razionalizzato e applicato i costi standard». Il meccanismo è questo: si tolgono soldi alla salute per girarli sulla spesa corrente dei consigli regionali, indirizzando i maggiori importi a quelli in disavanzo. E così Palazzo Balbi perde 240 milioni del Fondo sanitario e ne riacquista solo 53 per le spese legate al bilancio del consiglio (tecnicamente è il «contributo del patto incentivato»). Soldi che anche volendo non possono essere ridestinati alla sanità, perchè vincolati a tale nuova funzione. «Ci saranno successive riunioni per concordare dove operare i tagli ma non parteciperò nemmeno a quelle — aggiunge Coletto —. Io non concordo proprio niente, sarà il governo a dover spiegare ai cittadini perché e come infierisce sull’unico settore capace negli ultimi cinque anni di ridurre i costi e offrire la migliore performance. Non è una grande scelta sacrificare la sanità in questo momento: forse si vuole indurre la gente a non curarsi». In effetti un’indagine del Tribunale del Malato rivela che nell’ultimo anno nella nostra regione si sono registrate 2,5 milioni di prestazioni specialistiche in meno.
«Il Veneto non ha deliberatamente partecipato alla Conferenza delle Regioni, che ha definito tagli alla sanità e ai servizi per 5,7 miliardi, come previsto dalla legge di stabilità — dice il governatore Luca Zaia —. Si tratta di decurtazioni indiscriminate, avventate e illegittime: ribadiamo il no con forza. Siamo di fronte ad un intervento con la mannaia, che ancora una volta colpisce i virtuosi e non incide sugli sprechi. Solo l’applicazione dei costi standard consente di recuperare risorse. Mi chiedo a cosa sia servito definire ufficialmente il Veneto Regione benchmark per la sanità, per poi colpirla al pari, anzi di più, di quelle che da noi dovrebbero imparare». La pensa diversamente il sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa: « Siamo arrivati ad un accordo importante e positivo, grazie al forte senso di responsabilità delle Regioni». Perchè le altre giunte hanno detto di sì? «Accettiamo di farci carico di un sacrificio pesante, cioè la rinuncia ai 2 miliardi dell’aumento del Fondo sanitario nazionale, con l’auspicio che ciò valga solo per il 2015 — spiega Sergio Chiamparino, presidente delle Regioni —. Per un anno si può infatti accettare un tale impegno, ma solo nella prospettiva di tornare a lavorare per garantire nel 2016 il livello di finanziamento previsto dal Patto per la Salute. O comunque di avere risorse adeguate a far fronte a Livelli essenziali di assistenza e ai farmaci salvavita».
«Non condividiamo questa impostazione — rilancia Roberto Ciambetti, assessore al Bilancio — non è modo di fare finanza pubblica, sulle spalle degli enti locali. I tagli avranno ricadute molto pesanti». (Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto)
Regioni, tagli alla sanità per 2,6 miliardi. Preintesa Governatori-esecutivo sulla spending review da 5,2 miliardi. Ancora un mese per il dettaglio degli inteventi
Roberto Turno. il Fondo per lo sviluppo e la coesione, il patto verticale incentivato con i comuni, e tante altre incognite da risolvere tra fine marzo e giugno. Il grande rebus delle addizionali dietro l’angolo. Dopo un lungo e complicato tira e molla, Governo e regioni hanno raggiunto ieri l’intesa (o pre-intesa) sui maxi tagli (lineari) da 5,2 mld sui bilanci locali inferti per 4 mld dalla legge di stabilità 2015 e di altri 1,2 mld ereditati da precedenti manovre in sospeso. Ad essere colpita più pesantemente dai tagli in arrivo sarà la spesa sanitaria, che perde più dell’intero aumento inizialmente previsto dei fondi 2015: 2,35 mld in tutto tra regioni ordinarie e speciali, con l’aggiunta di una potatura di altri 285 mln delle risorse in conto capitale destinate all’edilizia sanitaria. Un colpo da 2,63 mld in totale sul bilanci della salute pubblica, il settore politicamente e socialmente più delicato, tanto per il Governo quanto per le regioni, che in sette a maggio vanno al voto.
Tanto delicato toccare il filo spinato della sanità, che non a caso palazzo Chigi e governatori hanno scelto ieri di prendere ancora un mese di tempo per indicare gli obiettivi specifici del risparmio: soltanto a fine marzo, infatti, sarà scritto nero su bianco in quali settori e per quale entità di cifre si taglieranno i conti di asl e ospedali. La parola d’ordine è quasi uno slogan: razionalizzazione e messa in efficienza della spesa Ssn a tutti i livelli, anche rafforzando il check sui risparmi attesi dalla riorganizzazione negli ospedali con tanto di abbandono di reparti doppione, e non solo. Fatto sta che oltre agli obiettivi del risparmio in cantiere, le regioni potranno scegliere di aggredire anche altri settori della spesa sanitaria, non solo quelli che verranno individuati a fine marzo. Sui farmaci c’è una forte resistenza della ministra Lorenzin e di palazzo Chigi, quando inizialmente i governatori avevano invece indicato un taglio da 482 mln. Nel mirino resteranno l’acquisto di beni e servizi – tra prezzi di riferimento, standard ospedalieri, dispositivi medici e monitoraggio della Consip e dell’Anticorruzione – così come le prestazioni acquistate dai privati. Mentre sui farmaci le regioni chiedono certezze a parte per i farmaci destinati all’epatite C, oltreché per ilfinanziamentodeimaggioricosti derivantidainuoviLea, quandosaranno ratificati, che varrebbero almeno 414 mln in più.
Senza scordare che i tagli della pre-intesa di ieri, quando arriveranno, potranno avere effetti ben che vada in sette otto mesi dell’anno, se non meno in quelle regioni dove si voterà, soprattutto se ci saranno cambi di maggioranza. Il che fa aumentare il rischio di nuove addizionali regionali in corso d’anno. Tutto questo mentre uno studio presentato proprio ieri dalla Fiaso (federazione di manager di asl e ospedali) e condotto col Crea di Tor Vergata, ha certificato l’esistenza di sprechi diffusi in parecchie regioni, a partire dai criteri assurdi, spesso basati sulla spesa storica, e dalle modalità di attribuzione dei fondi alla aziende sanitarie. Intanto il Veneto non ha partecipato all’incontro di ieri col Governo e rilancia il ricorso alla Consulta contro la manovra, così come ha annunciato la Lombardia, mentre la Cgil parla dei tagli alla salute come di «una sciagura».
Partita non affatto chiusa, insomma, sulla sanità. Ma non solo. Anche perché le altre voci di spesa tagliate non sono di modesto impatto. Riguardano 1,8 mld di riduzione del Fondo per lo sviluppo e la coesione, ma anche riduzione di 285 mln in termini di indebitamento netto e utilizzo di risorse per 802 mln per il patto verticale incentivato con i comuni. Su altri 365 mln di tagli ci sarà incertezza fino a tutto giugno: se le regioni non provvederanno ciascuna in casa propria, deciderà d’imperio via XX Settembre con tagli lineari dei trasferimenti. Ma non sulla sanità, almeno stavolta.
Il Sole 24 Ore – 27 febbraio 2015