«Se vogliamo che il nostro servizio sanitario nazionale sia all’altezza degli standard dei paesi G7, serve un radicale cambio di passo», spiega Nino Cartabellotta, presidente del think thank Fondazione Gimbe, che oggi a Roma presenta il 4° Rapporto sulla sostenibilità del Ssn. «Dal 2010 – aggiunge Cartabellotta – la sanità è vista come un mero capitolo di spesa pubblica da ottimizzare e non come una leva di sviluppo economico da sostenere, visto che assorbe il 6,6% del Pil, ma l’intera filiera della salute ne produce circa l’11 per cento. Medici e pazienti guardano alle conquiste della scienza e l’industria investe in questa direzione, ma l’entità del definanziamento allontana l’accessibilità alle straordinarie innovazioni su farmaci e tecnologie».
I numeri della crisi. Le cifre snocciolate nel rapporto Gimbe fotografano un calo dei fondi Ssn pari a 37 miliardi tra 2010 e 2019 (la metà assorbita dai tagli al personale) – a fronte di un aumento del fabbisogno sanitario di appena 8,8 miliardi, con una media annua di +0,9%, insufficiente anche a compensare l’inflazione, che viaggia a +1.07 per cento. Un drenaggio sistematico di risorse per le cure pubbliche, che Fondazione Gimbe indica come la prima mina per il Ssn. Non l’unica: a incidere sull’erosione è anche il miraggio dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea). Varati a febbraio 2017, sono rimasti sulla carta, perché il “tutto a tutti” costa, ma di soldi ce ne sono sempre di meno. Emblematico è il “decreto tariffe” sulle prestazioni ambulatoriali e le protesi, da 30 mesi bloccato al Mef per mancanza di copertura. Ma a sabotare il Ssn sono anche gli sprechi: 21,6 miliardi di sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (6,48 miliardi), frodi e abusi (4,75 miliardi), acquisti a costi eccessivi (2,16 miliardi), inefficienza amministrativa (2,37 miliardi) e inadeguato coordinamento dell’assistenza. Mentre la sanità integrativa, il “secondo pilastro” del Ssn, in attesa di un riordino va a sovrapporsi al servizio pubblico. «In questo quadro la prognosi per il malato Ssn al 2025 non può che essere infausta», afferma Cartabellotta. Mentre la spesa a 230 miliardi di euro, per un pro capite di 3.800 euro (+1.239 euro rispetto all’attuale), consentirebbe l’erogazione di Lea efficaci – sulla base del “value for money”, cioè del valore in termini di salute generato da ogni prestazione – personale adeguato sia per numeri che per prestazioni e tecnologie all’avanguardia. Un libro dei sogni? Sta al governo – rilanciano da Gimbe – decidere di mettere in sicurezza il finanziamento pubblico, stabilendo la soglia minima oltre la quale il rapporto tra spesa sanitaria e Pil non possa scendere ma anche una quota di incremento assoluta, pari ad almeno il doppio dell’inflazione. «Ma soprattutto – conclude Cartabellotta – sono i cittadini a dover pretendere da chi governa una sanità “first class”. Il Ssn è la più importante opera pubblica del nostro Paese e la stiamo perdendo».
IL SOLE 24 ORE Barbara Gobbi