Stefano Cecconi, responsabile sanità Cgil: “La Conferenza dei governatori ha dato il via libera all’aggiornamento dei Lea ma solo a condizione che entri in vigore con gradualità e ci siano più fondi”. In più si oppone all’eliminazione delle gare per i farmaci biosimilari e agli accordi di acquisto diretti con le case farmaceutiche: il rischio è che l’aumento del Fondo sanitario sia interamente assorbito da queste voci
Sulla sanità i conti non tornano. E i nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) rischiano di trasformarsi in un’operazione di marketing del governo dagli effetti contabili tutti da verificare per le tasche delle Regioni e dei cittadini. Per l’esecutivo bastano, infatti, 800 milioni l’anno per garantire tutte le nuove prestazioni del nomenclatore, l’elenco dell’offerta del sistema sanitario nazionale (Ssn) che il Parlamento dovrebbe approvare entro il 5 dicembre. Secondo i governatori sarà invece necessaria una cifra compresa tra il miliardo e mezzo e i due miliardi. Nella migliore delle ipotesi, dunque, all’appello mancheranno almeno 700 milioni che in futuro potrebbero pesare sulle tasche dei cittadini a suon di ticket e di imposte locali. Ecco perché le Regioni hanno chiesto e ottenuto l’introduzione progressiva dei Leacon una verifica puntuale da parte di una commissione ad hocche definisca i costi reali della modifica dell’offerta sanitaria entro l’estate.
Detta in altri termini, presto il nomenclatore sarà aggiornato mandando in soffitta le vecchie prestazioni, ma non è detto che le nuove saranno immediatamente disponibili e che lo saranno allo stesso modo in tutta Italia. Intanto, secondo quanto quantificato dal governo nella relazione tecnica presentata alla Ragioneria generale, aumenteranno subito i ticket per 60 milioni grazie allo spostamento di alcune prestazioni dal day hospitalall’ambulatorio. Un esempio? Il ricovero previsto oggi per un intervento semplice alla cataratta è gratuito, mentre la stessa prestazione con i nuovi Lea verrà erogata in ambulatorio dietro il pagamento di un ticket che potrebbe essere diverso nelle differenti aree del Paese.
“La Conferenza delle Regioni ha dato il via libera all’aggiornamento dei Lea ma solo a condizione che via siano gradualità e risorse effettivamente aggiuntive nel 2017 e 2018”, spiega Stefano Cecconi, responsabile sanità della Cgil. “La lunga crisi economica, aggravata da insensate politiche di austerity con i tagli alla sanità, ha messo in discussione la garanzia dei Lea, soprattutto in alcune regioni – prosegue il sindacalista – I monitoraggi su questo punto sono preoccupanti e descrivono una drammatica frammentazione del servizio sanitario nazionale. Se non si mette in sicurezza il finanziamento del Ssn, l’aggiornamento dei Lea proposto rischia di essere un provvedimento velleitario”. Per Cecconi non è in dubbio che lo svecchiamento dei Lea fosse un’operazione necessaria e condivisibile per dare un punto di riferimento più forte alla programmazione regionale e locale. Ma il decreto da solo “non basta per garantire uniformità ed esigibilità dei Lea”.
E soprattutto “non è serio vendere come immediatamente esigibile un provvedimento che avrà un’applicazione progressiva”, conclude Cecconi, che ritiene incomprensibile l’eliminazione delle gare per i farmaci biosimilari e l’introduzione di accordi di acquisto diretti con le case farmaceutiche. “In questo modo si limita la concorrenza e si mette un’ipoteca sulle possibilità di risparmio delle Regioni”, conclude. La questione è tanto più inquietante perché “si rischia di far assorbire dalla farmaceutica l’intero aumento del Fondo sanitario nazionale”, come ha detto al Quotidiano Sanità la deputata piddina Anna Margherita Miotto, componente della commissione Affari Sociali della Camera. Non a caso sulla questione è intervenuta anche l’Antitrust chiedendo al governo un ripensamento. Alla luce dei rilievi il relatore alla manovra Mauro Guerra (Pd) ha presentato un emendamento in commissione Bilancio con cui si stabilisce che spetta anche all’Agenzia italiana del Farmaco, e non solo all’European medicine agency, stabilire “l’esistenza di un rapporto di biosimilarità tra un farmaco biosimilare e il suo biologico di riferimento”. Inoltre la proposta di modifica prevede che siano fatte gare usando accordi quadro quando ci siano più di tre medicinali a base del medesimo principio attivo. La base d’asta sarà “il prezzo medio di cessione al servizio sanitario” del farmaco, non più il prezzo massimo. Previsto anche l’obbligo, da parte del medico, di motivare la scelta di prescrivere un farmaco diverso dai primi tre farmaci della graduatoria dell’accordo quadro.
Sullo sfondo resta poi un’altra problematica di assoluto rilievo che viene sollevata dai medici. “Possiamo anche allungare l’elenco delle prestazioni – spiega Costantino Troise, segretario dell’Associazione Medici e dirigenti del Servizio sanitario nazionale (Anaao Assomed) – ma la sanità non è un supermercato dove si entra e si compra ciò che si vuole. E’ necessario anche un investimento sul personale che dovrà erogare le prestazioni sanitarie”. Da tempo del resto lo Stato non investe in personale sanitario. Lo testimonia il Rapporto Oasi 2016 dell’Università Bocconi sullo stato di salute della sanità, ricordando che dal 2009 al 2014, il personale a tempo indeterminato è calato di circa 30mila unità (-5%) con picchi locali anche del -15% fra il 2006 e il 2012. “La spesa complessiva per il personale è scesa di 1,3 miliardi dal 2008, fino ai 39,1 miliardi del 2014 (–3,3%), non costituendo più la principale voce di spesa, superata dall’acquisto di beni e servizi – si legge nell’indagine dell’università – Il dato davvero preoccupante è l’età media dei lavoratori del Servizio sanitario nazionale, pari a 53 anni per i medici dipendenti, 47 per le professioni sanitarie e 55 anni per i medici di medicina generale”.
Sono numeri eloquenti che raccontano come sia necessario investire nelle risorse umane senza le quali i nuovi Lea rischiano di restare sulla carta. Con la conseguenza fra l’altro che la loro applicazione frammentata amplierà il divario di prestazioni fra le diverse regioni italiane penalizzando ulteriormente il Sud dove le lunghe liste d’attesa spingono i pazienti che possono permetterselo a pagare di tasca propria o ad alimentare il turismo sanitario nazionale. Il fenomeno è del resto già oggi consistente: secondo il Censis, nel biennio 2013-2014, ben 11 milioni di italiani hanno sborsato oltre 34 miliardi per ottenere cure che la sanità pubblica non era in grado di erogare in tempi ragionevoli. Anche di qui la ratio che ha spinto i governatori a chiedere la nascita della Commissione Lea che dovrà aggiustare la mira in corso d’opera. Come? Questo resta ancora un mistero che dovrà svelare il governo che in futuro si troverà a gestire la patata bollente.
Il Fato quotidiano – 23 novembre 2016