Paolo Russo. I nuovi macchinari per la radioterapia che riescono a colpire con precisione chirurgica le cellule tumorali al punto da poter fare a meno del bisturi costano dai 2 ai 6 milioni di euro. Restano un miraggio per gli ospedali d’Italia, dove la metà dei macchinari è obsoleta. Da Oltreoceano stanno sbarcando le super-pillole contro Aids, tumori, Alzheimer e altri gravi malattie.
Il costo medio è di 100 mila euro a ciclo terapeutico. Troppi per poterli garantire a tutti quelli che ne hanno bisogno. E poi c’è una popolazione che invecchia ma mica tanto bene se, come afferma la relazione sullo stato sanitario del Paese, gli anni di disabilità che ci attendono sono ben 16. Ed anche questi sono costi.
Dopo aver fatto i conti con l’emergenza pensioni, per l’Italia sembra giunto il momento di mettere mano alla questione sanità.
«La selezione è già in atto non solo per i farmaci ma anche nella chirurgia. Nell’efficiente Lombardia abbiamo liste d’attesa di nove mesi perché non ci sono soldi né per i dispositivi chirurgici, né per pagare gli anestesisti» dice Francesco Longo, economista sanitario della Bocconi, che di vie di uscita ne vede una sola: «Portare il livello di finanziamento al livello dei Paesi europei con i quali dovremmo confrontarci». Come la Germania, dove la spesa sanitaria pubblica è di 2500 euro a cittadino contro i nostri 1800. Di miliardi in più, secondo l’economista, ne occorrerebbero 10.
Di sicuro con una sanità integrativa ferma al palo e un sistema di ticket che esenta oltre la metà della popolazione i 111 miliardi di oggi sembrano non bastare più. Se n’è accorta la Corte dei Conti, che vede nel 2015 un rosso da un miliardo nei conti della sanità, dopo anni di tenuta a suon di addizionali Irpef regionali. E vede rosso anche l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco che indica in un miliardo e 700 milioni lo sforamento della spesa farmaceutica ospedaliera, quella dove finiscono i medicinali più innovativi e costosi. E se il piatto piange oggi figuriamoci domani quando i super-farmaci saranno molti di più. Bisognerebbe risparmiare sui medicinali più datati, quelli con il brevetto scaduto venduti come generici. Ma sarà la potenza del marketing farmaceutico o la diffidenza degli italiani, da noi il farmaco griffato la fa ancora da padrone. Tant’è che in un anno abbiamo speso di tasca nostra quasi un miliardo di euro per pagare la differenza di prezzo tra il generico e la pillola «di marca», pur di restare fedeli a quest’ultima.
Contraddizioni che ritroviamo anche nel pianeta ospedali, dove si preferiscono spendere soldi per centinaia di reparti con più medici che pazienti, come dimostrano i rapporti dell’Agenas (l’Agenzia per i servizi sanitari regionali), piuttosto che acquistare tecnologia. Le apparecchiature diagnostiche obsolete sono 6400, con il 72% dei mammografi e il 76% dei sistemi radiografici datati più di 10 anni, racconta un recente rapporto di Assobiomedica. Del resto basta vedere la storia dei «chirurghi robot». Sbandierati come la nuova frontiera della chirurgia e capaci di abbattere la percentuale di errore, restano fuori dalla sale operatorie, se non per interventi a pagamento, visto che le tariffe di rimborso agli ospedali non tengono conto dei 9mila euro in media di costo aggiuntivo.
E non è che nel territorio le cose vadano meglio. Secondo la Bocconi dei 2 milioni e mezzo di disabili, l’80% si arrangia da sé in assenza di assistenza domiciliare.
Scricchiolii sinistri di un pezzo del nostro welfare che continuiamo a chiamare universalistico ma che è già diventato selettivo. A discapito dei più deboli.
La stampa – 31 marzo 2016