Il Fatto quotidiano. In Calabria nel primo semestre del 2019 le prime visite specialistiche erogate dal servizio sanitario pubblico furono poco più di 332 mila, nello stesso periodo del 2022 erano scese a 211.715 (-36,23%). In fondo si potrebbe pensare a una eccezione, date le condizioni della disastrata (e commissariata) sanità calabrese. Ma non è affatto così. Le lunghe liste d’att es a , aumentate a dismisura con la pandemia, stanno affossando la sanità pubblica italiana. E praticamente nessuna Regione riesce a sottrarsi all’a gonia. Al netto della Toscana – cioè l’unica che nei primi sei mesi dello scorso anno è riuscita ad aumentare lievemente le prestazioni di specialistica ambulatoriale, recuperando un po’ di terreno rispetto al 2019, prima dell’ondata pandemica – ovunque si assiste a un crollo (dati Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali).
UN DATO al ribasso che è abissale nella provincia di Bolzano (-46,03%), in Valle d’Aosta e Molise (siamo oltre il 27%). Ed è comunque rilevante in regioni che si sono conquis tate i galloni di eccellenze sanitarie e che ora, invece, mostrano tragicamente la corda. Parliamo di Lombardia, (-11,12%), Emilia-Romagna (-12,26), Veneto (-13,07). E allora chi può si rifugia nella stipula di una polizza assicurativa sanitaria, per garantirsi la copertura delle spese mediche in una clinica o in un poliambulatorio privati. Non solo per una visita specialistica. Ma anche per un costoso esame diagnostico o per un intervento chirurgico. E infatti, in corsa da alcuni anni nel ramo salute, le compagnie di assicurazioni stanno facendo ottimi affari: la raccolta premi – vale a dire l’ammontare di quanto gli italiani pagano per assicurare la loro salute – è in aumento da anni. Dopo un 2021 nel quale ha raggiunto i 3,3 miliardi (con una crescita media annua dal 2017 del 4,7%, ben superiore alla media totale del settore) nei primi nove mesi del 2022 hanno totalizzato 2,6 miliardi. E questa volta il balzo è stato del 15% rispetto all’ana logo periodo del 2021. In pratica, come emerge da una recentissima ricerca dell’Osservatorio sanità di Unisalute (gruppo Unipol) il 30% degli italiani possiede già una polizza sanitaria, sia essa collettiva (cioè prevista dal contratto di lavoro) o individuale. Mentre la stragrande maggioranza di chi la stipula individualmente – il 43% – ripiega su questa forma di tutela, sempre secondo l’Osservatorio di Unisalute, come exit strategy al dramma delle interminabili liste d’atte sanella sanità pubblica. Del resto (la fonte è sempre Agenas) in due grandi aree di intervento – quella cardiovascolare e quella dei tumori maligni – il termine dei 30 giorni per l’erogazione della prestazione non è quasi mai rispettato in nessuna regione. La compagnia del gruppo Unipol in soli tre anni ha portato i propri clienti da 8,6 milioni a 11, per una raccolta pari a 519 milioni. Ed è in crescita un altro colosso delle assicurazioni, Intesa Sanpaolo Assicura Rbm salute, che ormai controlla una quota di mercato pari al 15%, con 400 milioni di raccolta. La domanda si sposta sempre di più verso il rimborso delle spese mediche, che costituiscono il 60,3% dei premi, con un aumento di quasi il 30% proprio tra le polizze individuali. Le prestazioni più richieste? La copertura per gli interventi chirurgici, le visite specialistiche, la prevenzione o la fisioterapia. Va detto però che quanto pagano gli italiani per salvaguardare in una struttura sanitaria privata la loro salute è solo in parte direttamente correlabile ai ritardi e alle inefficienze della sanità pubblica nelle varie aree del Paese.
A FARE davvero la differenza sono le condizioni economiche dei vari territori. Si spiega così il grande divario tra Nord e Sud nella spesa sanitaria privata pro capite, che è più alta nelle regioni del Settentrione (più ricche) e si dimezza in quelle del Mezzogiorno (più povere). In Lombardia supera i 700 euro, in Emilia-Romagna arriva a 656, in Veneto a 646. Agli ultimi posti invece troviamo la Sicilia (301), la Campania (298), la Calabria (281) e la Basilicata (274).