Una stretta da almeno 1,4 miliardi, su un “rosso” complessivo di 1,8 miliardi. È la ricetta amara che nei prossimi tre anni dovranno applicare le 53 aziende ospedaliere pubbliche messe all’indice dal ministero della Salute. Che in attuazione della legge di stabilità (comma 524) detta le prime linee guida sui piani di rientro in caso di sforamento di parametri economici o di qualità dell’assistenza.
Quest’anno si parte con ospedali-azienda, aziende ospedaliere universitarie, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Dal 2017 il giro di vite si estenderà anche agli ospedali delle asl. Poche le regioni che al primo appello si presentano con le carte in regola: a leggere la bozza di decreto al vaglio della conferenza stato-regioni, solo Emilia Romagna e Umbria si salvano. Mentre in cima alla black list figurano Sicilia, con oltre 340 milioni di deficit e 8 aziende da sanare, Campania – 309 milioni e tutte le 10 aziende in rosso – e il Lazio, con 282,6 milioni extra-tetto e 6 aziende nel mirino. L’indice del ministero è puntato soprattutto sui gap economici: 27 su 53 sono le aziende in cui lo scostamento tra costi e ricavi supera il 10% o è pari ad almeno 10 milioni di euro. Altre 11 strutture non raggiungono la sufficienza su volumi, qualità ed esiti delle cure, mentre 15 aziende sono bocciate su entrambi i fronti. Per risalire la china dovranno colmare almeno in parte il buco nei conti e raggiungere un livello di qualità “media”.
La razionalizzazione del servizio sanitario pubblico messa in pista dal decreto chiama in causa il management aziendale: in caso di insuccesso del piano, il direttore generale va a casa.
Personale, acquisto di servizi, spesa farmaceutica e per dispositivi medici: queste le prime voci da razionalizzare. Una «svolta epocale e doverosa: finalmente nasce un grande cantiere nazionale per completare il risanamento del servizio pubblico», commenta il presidente della Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) Francesco Ripa di Meana. Che però avverte: «Chiusa questa fase, si dovrà tornare a investire: in servizi d’emergenza, tecnologie, formazione e ricerca».
La tabella di marcia per ogni azienda è dettata dall’entità dello squilibrio: a chi è più in sofferenza è concesso un risanamento più graduale. Nei casi limite in cui il gap tra costi e ricavi superi il 45%, sarà sufficiente un rientro di almeno il 60% nel triennio. Una delle leve è la riorganizzazione dei reparti: da chiudere le unità operative con meno di 15/20 posti letto. Ciò si tradurrà in trasferimenti di medici e infermieri, blocco del turnover o nella messa in mobilità degli esuberi. Procedure «inaccettabili» per Costantino Troise, segretario nazionale dell’Anaao Assomed, il principale sindacato dei medici ospedalieri. «Questo decreto – spiega – rientra nella strategia ormai decennale di regioni e governo, che punta sul ridimensionamento degli organici per controllare la spesa. Un modello fallito che porta tagli alle cure, ticket e tasse».
Il Sole 24 Ore – 1 marzo 2016