Finora il ministro è riuscito a ridurre le spese della sede centrale, ma la vera revisione viene rimandata in autunno. Tra l’altro sono stati aboliti i finanziamenti a riviste “d’area” (“Quattro zampe”, grazie all’intervento dell’ex sottosegretario leghista Francesca Martini, riceveva 64mila euro l’anno). Ma il cuore del problema resta il deficit fuori controllo delle Asl, che dipendono dai governatori. Ora si pensa a rimodulare i ticket e a una tassa sul junk food. Quella definizione anglosassone ormai abituale anche da noi spending review è diventato il riferimento quotidiano per il ministero della Salute, che per missione dovrebbe occuparsi di emergenze sanitarie e lungodegenze cliniche. Il dicastero in lungotevere è tra i più costosi della pubblica funzione.
E l’applicazione dei tagli alla spesa corrente è diventata un manifesto anche qui. Lo staff di Renato Balduzzi, 57 anni, costituzionalista cattolico, già capo dell’ufficio legale del ministero guidato da Rosy Bindi, alla domanda “che cosa avete fatto nei primi sei mesi di attività?” produce un nutrito elenco di spese ridotte. Dopo le 18,30, per dire l’ultima iniziativa, nessuno deve essere più sorpreso a lavorare nell’enorme sede romana dell’Eur (oltre mille dipendenti): metterebbe in crisi la razionalizzazione del consumo di riscaldamento (in inverno), di aria condizionata (in estate) e di luce elettrica (sempre).
Su venti autoblù in dotazione, nove sono state tagliate. Le sopravvissute sono in leasing. I finanziamenti a riviste “d’area” sono stati aboliti (“Quattro zampe”, grazie all’intervento dell’ex sottosegretario leghista Francesca Martini, riceveva 64 mila euro l’anno). Le rassegne stampa sono state ridotte a venti copie (con un abbattimento del 70% del consumo della carta), i convegni oggi si organizzano con 20 mila euro (ne costavano oltre 100 mila). I viaggi di lavoro sono stati limati: quattro persone all’ultimo Consiglio informale dei ministri dell’Unione europea, tenuto a nord di Copenaghen. L’impegno del tecnico Balduzzi sul fronte dei costi vivi è chiaro, ma anche il neoministro dopo la Bindi e Veronesi, dopo Sirchia e Storace, dopo Livia Turco e Ferruccio Fazio sta faticando nel rapporto con le Regioni, che nella Sanità moderna rappresentano il “buco nero”, la questione irrisolta. Il sistema sanitario nazionale poggia sulle Regioni dal 1978, e oggi rischia di crollare.
Ancora l’ultima indagine dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (parliamo del Duemila) classificava gli ospedali italiani al secondo posto al mondo dopo la Francia, ma nelle ultime stagioni la situazione è precipitata. Dieci Regioni hanno dovuto impegnarsi in piani di rientro dai loro deficit strutturali. Sette nel 2007 (Lazio, Abruzzo, Liguria, Campania, Molise, Sicilia e Sardegna), la Calabria nel 2009, Piemonte e Puglia nel 2010. Per cinque Regioni, però, i modesti risultati hanno costretto il ministero al commissariamento (commissari ne sono diventati gli stessi governatori). Ancora nel 2010, ultimi dati disponibili, il Lazio ha chiuso con un risultato d’esercizio negativo per un miliardo e 43 milioni (in miglioramento rispetto al meno 1,64 miliardi del 2007).
Ecco, il ministro Balduzzi aveva aperto il suo mandato annunciando un Patto per la salute con le Regioni e aveva fissato a sei mesi il nuovo “trattato” da stipulare. Il centro della questione era sempre quello: come modulare 7,5 miliardi di tagli (decisi dal governo Berlusconi) e quindi programmare il futuro delle attività sanitarie. Le peggiorate condizioni economiche internazionali e la necessità di nuovi risparmi individuata dai ministeri economici hanno allontanato la data: dal 30 aprile il Patto per la salute è stato spostato a ottobre. E sei mesi sono un’eternità visti i tempi stretti di azione di questo governo e la sua durata obbligatoriamente limitata (primavera 2013).
Il ministro vuole capire se per l’autunno arriveranno risorse aggiuntive per ridurre l’entità dei tagli: se non ci fosse un allentamento del rigore, potrebbe saltare tutto. Il Patto per la salute, comunque, va chiuso entro il 31 dicembre. Tra l’altro, le regioni hanno già elaborato un documento ufficioso per autofinanziarsi: prevede tasse sui pannolini e la chiusura di 220 ospedali di dimensioni limitate. Entro questo “spazio economico” si inserisce la rimodulazione del ticket in base al reddito delle famiglie.
I due principi introdotti da Balduzzi sono sani: far pagare meno a chi usa molto la sanità, far pagare in base ai redditi. Il problema è che oggi il 47% degli italiani è esentato e questo livello di “no tax” – assicura il governo non è più sostenibile. Siamo ancora nel campo progettuale, ma si dovrà pagare tutti e si dovrebbe pagare un po’ meno. L’ipotesi dei tecnici ministeriali è quella di fissare una franchigia al 3 per mille del reddito, superata la quale non ci sarà più ticket. Per capire, un pensionato con 10 mila euro lordi l’anno pagherebbe i primi 30 euro di spesa, un lavoratore con 40 mila euro pagherebbe una franchigia di 120 euro. La tessera sanitaria diventerebbe una sorta di carta “a punti” da cui scalare la quota a carico dell’assistito. Ogni italiano oggi spende in media 60 euro l’anno di ticket, con picchi che superano i 500 euro. Il provvedimento più importante del dicastero Balduzzi, in Gazzetta Ufficiale dallo scorso marzo, è l’aumento del numero delle farmacie pubbliche sul territorio. Incorniciato all’interno del decreto liberalizzazioni (si resta su provvedimenti a impianto economico), gli enti locali distribuiranno 4.500 nuove autorizzazioni.
Con l’abbassamento del “quorum” – una farmacia ogni 3.300 abitanti, prima era una ogni 4-5 mila – ci sarebbe la possibilità di creare 9 mila nuove strutture sul territorio con fisiologico abbattimento dei prezzi. Federfarma, dopo numerosi incontri e un’attività di opposizione strenua, è riuscita a ottenere che le “new entry” siano al massimo 3.500 (più mille comunali). Alla liberalizzazione del negozio si è affiancata una più contenuta liberalizzazione del prodotto (le medicine di fascia C).
Si potranno vendere anche nei corner all’interno dei centri commerciali 230 prodotti, 117 sono in attesa di giudizio. Perlopiù, sono colliri, creme per la pelle e per la cura di afte. I prodotti di fascia C blindati nelle farmacie restano ancora 4.965. Tra le cose fatte, va segnalata un’apertura inedita all’informazione. Sul sito del ministero sono stati pubblicati per la prima volta i dati sulle performance (e sulla mortalità) delle singole strutture sanitarie e sono diventati tempestivamente pubblici i report degli ispettori sanitari inviati sulle emergenze (la donna in coma lasciata per quattro giorni in una barella a terra al pronto soccorso dell’Umberto I di Roma). Il ministro, in accordo con l’assessore alla Sanità di Palermo, ha anche chiuso temporaneamente una struttura inadeguata, l’oncologia del Policlinico. Sullo scandalo francese delle protesi al seno nocive (24 casi anche in Italia), Balduzzi ha fatto istituire un registro, quindi si è mosso sulla prevenzione per il rischio amianto e sta lavorando con il ministro Riccardi per limitare i rischi del dilagante gioco d’azzardo. Ancora, alla partenza del Giro d’Italia ha annunciato il raddoppio dei fondi ministeriali per la lotta all’antidoping. Il ministro ha chiesto quindi, ma qui siamo su un piano progettuale, la tassazione del cosiddetto junk food (snack e bibite gassate) e ha supportato il centro trapianti nell’allargamento della possibilità di donazione degli organi: in Umbria e in Sicilia ci sono progetti pilota per acconsentire al dono direttamente negli uffici comunali.
Siamo ancora lontani dal varo della revisione dei livelli essenziali di assistenza (Lea), il paniere dei servizi e delle prestazioni offerte a tutti i cittadini (oggi sono 5.700). Saranno toccati anche quelli, causa spending review. E a fronte dei timori di interventi filocattolici in un ministero così delicato – Balduzzi è molto vicino al Vaticano e la sua agenda di impegni è fitta di incontri e impegni cristiani – ad oggi si registra solo una “gaffe”: la cancellazione di una frase sull’uso del preservativo per i turisti-tifosi che andranno ai prossimi Europei di calcio. Nel pamphlet stampato dall’Oms il “condom” c’era, nella traduzione affidata agli uffici del ministero italiano è saltata. Il ministro ha parlato di un errore e avviato una (tenue) inchiesta interna.
Affari e Finanza – Repubblica – 7 maggio 2012