La sanità pubblica scricchiola da tutte le parti, perché mancano medici e infermieri, ma soprattutto soldi. Tanti, oltre quelli che si potrebbero immaginare. Secondo il 18° rapporto Sanità del Crea, presentato oggi a Roma, ben 50 miliardi di euro per allinearsi non alla spesa degli altri Paesi europei, perché per quello che ne vorrebbero di più, ma per avere almeno la stessa incidenza sul Pil. Perché a confronto della media Ue noi siamo sotto di un buon 38%. Ma se il disallineamento della spesa privata è contenuto al 12%, il gap della spesa pubblica è del 44%. E con differenze del genere non c’è miracolo dei nostri professionisti della salute che tenga: l’offerta del pubblico arretra, quella del privato avanza. EXECUTIVE SUMMARY
I dati parlano chiaro. La spesa sanitaria dal 2000 al 2021 è cresciuta del 2,8% medio annuo, il 50% in meno che negli altri Paesi Ue di riferimento; anche durante il Covid è cresciuta meno: per recuperare il passo degli altri Paesi servirebbe, quindi, una crescita annua del finanziamento di 10 miliardi di euro per 5 anni, più quanto necessario per garantire la stessa crescita degli altri Paesi europei presi a riferimento, ovvero altri 5 miliardi di euro. Anche al netto della guerra e del caro energia pura utopia. A meno che non si metta mano a serie politiche economiche di sostegno della crescita. Il ragionamento di Federico Spandonaro, economista sanitario dell’Università San Raffaele di Roma dei più accreditati, oltre che presidente del Crea, da questo punto di vista non fa una piega. “Dal duemila ad oggi la nostra sanità ha viaggiato a un ritmo di crescita della spesa nettamente inferiore agli altri Paesi Ue e questo ha comportato una costante crescita della spesa sanitaria privata con conseguente riduzione del livello di equità del sistema di protezione”. Il problema per Spandonaro non è tanto se si poteva o meno fare di più, “quanto il fatto che il Paese nel suo insieme non cresce, per via dell’enorme sommerso. Quindi bisognerebbe recuperare l’evasione e decidere quali settori possono dare un maggior contributo all’aumento del Pil. E uno di questi può essere a mio avviso proprio la sanità”. Parole che cozzano con uno dei capitoli della Melonomics, quello delle sanatorie fiscali. Ben 12 quelle finite in manovra.
Tornando al Rapporto nel 2021 il finanziamento pubblico si ferma al 75,6% della spesa contro una media Ue dell’82,9% e la spesa privata incide per il 2,3% sul Pil contro una media europea del 2%: oltre 1.700 euro a nucleo familiare, “scaricando” ad esempio sulle famiglie oltre un miliardo di spesa per farmaci compresi tra quelli rimborsabili dal SSN.
Aumenta anche il disagio economico per le spese sanitarie: il 5,2% delle famiglie versa in tale stato; 378.627 nuclei familiari (l’1,5%) si impoveriscono per le spese sanitarie e 610.048 (il 2,3%) sostengono spese sanitarie cosiddette “catastrofiche”.
Sugli anziani nell’era Covid si è poi abbattuta una vera e propria “pandemia parallela”. Il Crea Sanità ha intervistato un campione rappresentativo di anziani e grandi anziani, verificando che: il 60% degli over 80 esce meno di prima, con un impatto maggiore nel meridione e nei Centri più piccoli il 70% registra un peggioramento dello stato di salute, maggiore nei centri più grandi e nel Nord-Ovest; il 50% degli over 80 dopo la pandemia ha maggiore bisogno di aiuti esterni, soprattutto di tipo sociale; i problemi di accesso alle prestazioni nel meridione risultano essere da 3 a 6 volte maggiori che nelle altre ripartizioni; il 50% dei grandi anziani ha speso di più privatamente per bisogni sanitari e sociali.
Non va meglio rispetto a un altro allarme, lanciato di recente anche dalle Regioni: la carenza di personale, per il quale l’Italia dovrebbe investire 30,5 miliardi di euro, calcola il Crea, se volesse allinearsi agli organici di professionisti sanitari dei Paesi europei di riferimento, senza tenere conto del maggiore bisogno derivante dall’età media più alta della popolazione.
Questo perché, sempre rispetto alle medie europee, in Italia, i medici ogni 1.000 abitanti sono sì un po’ di più, ma se si considera la popolazione over 75 ne potrebbero mancare circa 30mila e per il riequilibrio se ne dovrebbero assumere almeno 15mila ogni anno per i prossimi 10 anni, mettendo in conto le dinamiche annuali di pensionamento (circa 12mila l’anno, essendo in media più anziani).
La carenza di infermieri è anche più grave: supera le 250mila unità rispetto ai parametri EU e, comunque, solo per il nuovo modello disegnato dal PNRR ne servirebbero 40-80.000 in più. In questo caso, di nuovi infermieri ne servirebbero 30-40.000 l’anno (anche qui considerando il numero di pensionati l’anno: circa 9mila), numero irraggiungibile anche perché la propensione a intraprendere la professione in Italia (scarsa attrattività legata sia a questioni economiche che di carriera) è un terzo che negli altri Paesi EU.
Né l’Italia può far conto di attrarre professionisti dall’estero: entrano nel nostro Paese meno dell’1% dei medici, contro il 10% (fino al 30%) negli altri Paesi; analogamente, vengono dall’estero meno del 5% degli infermieri contro percentuali del 15% nel Regno Unito e del 9% in Germania.
I medici italiani, poi, oltre a essere pochi, guadagnano in media il 6% in meno e gli infermieri in media il 40% in meno dei loro colleghi europei e se, oltre agli organici, si volesse considerare anche la necessaria rivalutazione delle retribuzioni, l’onere per la spesa corrente del SSN crescerebbe a 86,8 miliardi di euro.
Senza risorse e senza personale è anche impossibile, sottolinea il Rapporto C.R.E.A., recuperare il 65% di prestazioni perse durante la pandemia, di cui hanno sofferto soprattutto i “grandi anziani”: il 70% degli over 80 registra un peggioramento dello stato di salute, soprattutto nei centri maggiori e nel Nord-Ovest, e il 50% di loro ha speso di più privatamente per bisogni sanitari e sociali.