Cinquecento domande di prepensionamento presentate dai medici ospedalieri veneti soltanto nell’ultimo mese. Eccolo – denunciano i segretari veneti di AaroiEmac, Fassid, Fvm e Cisl – l’effetto deflagrante dell’annunciato taglio alle pensioni dei camici bianchi. «E poco importa se, alla fine, il governo sceglierà di fare un passo indietro, perché ormai non ci fidiamo più» la sintesi di Francesco Di Bartolo, segretario regionale di Cisl medici.
Anche per questo, ieri, medici e veterinari hanno deciso di incrociare le braccia, facendo saltare migliaia di prestazioni in tutta la regione: interventi chirurgici programmati, visite anestesiologiche, sedute psicologiche, macellazioni. Dando vita a uno sciopero che, per anestesisti e chirurghi, non veniva indetto dal 2018, ma che quasi certamente avrà un seguito anche a gennaio prossimo.
A incrociare le braccia, ieri, sono stati 261 medici in tutto il Veneto: 70 nell’Usl 2 di Marca e 48 nell’Usl 6 Euganea.
L’elenco dei nodi è un ritornello che si ripete, uguale, da tempo: investimenti giudicati inadeguati, personale insufficiente, un tetto di spesa che paralizza le assunzioni, la mortificazione della sanità pubblica a favore di quella privata.
Una tendenza, quest’ultima, a cui è sempre Di Bartolo a dare una dimensione: «Le 42 mila prestazioni dei medici gettonisti, con turni da 12 ore, registrate nel 2022, a fronte delle appena 1.700 contate in Emilia-Romagna».
Mentre in Lombardia – il doppio degli abitanti del Veneto -, le prestazioni «sono state appena 5 mila in più».
Si parla soprattutto dei professionisti dei Pronto soccorso, specializzati in scuole che ormai ogni anno sono costrette a iniziare le lezioni con oltre la metà delle borse non assegnate.
«Peraltro, non possiamo nemmeno pretenderedai giovani medici che si sostituiscano in toto ai colleghi che stanno andando in pensione.
La nostra è una professione fatta anche di esperienza» spiega Gabriele Gasparini, segretario di Fassid.
«In Veneto mancano 3.500 medici e 150 veterinari – ricorda Dalsasso – ma, senza gli interventi adeguati, la carenza è destinata ad aumentare ancora.
L’anno dell’equilibrio tra pensionamenti e nuovi ingressi dovrebbe essere il 2046, ma ci sono branche che stanno sparendo agli occhi dei neolaureati: l’Emergenza-urgenza, l’Anestesia.
Significa che, come già accade oggi, gli ospedali saranno costretti ad affidarsi ai gettonisti o ai colleghi laureatisi in Paesi stranieri, con percorsi di studio difficilmente o per nulla certificabili.
In generale, sono tutte manovre che mostrano un progressivo avvicinamento alla sanità privata».
Il governo ha tentato la doppia mossa: elevando l’età pensionabile dai 67 ai 70, e poi addirittura ai 72 anni. Strada, peraltro, suggerita da Luca Zaia. Ma i medici si sono opposti: «Vi immaginate un medico di 72 anni costretto a precipitarsi fuori di casa e correre in ospedale, per un intervento urgente? Oppure ve lo immaginate a bordo di un elicottero, per andare a recuperare un ferito?» si interroga Dalsasso.
E infatti la mossa sembra essere stata ritirata. Ma sono tutti interventi che mirano a colmare un gap, che, peraltro, non riguarda i soli medici, ma anche i professionisti del comparto: infermieri e operatori socio-sanitari.
«E invece la conseguenza è la fuga dagli ospedali: nel 2021 hanno lasciato in 1700, l’anno successivo in 4 mila e l’anno scorso in 5 mila» dice il segretario di Cisl Veneto.
Un disincentivo alle assunzioni, spiega poi Paolo Camerotto, segretario dei veterinari iscritti a Fvm, è rappresentato dal tetto di spesa, fissato ogni anno per ciascuna azienda sanitaria.
Circostanza che quest’anno in Veneto ha comportato un blocco all’ingresso di nuovi medici, pur vincitori dei rispettivi concorsi: ostacolo aggirato soltanto con un decreto regionale, che ha portato a un’implementazione del fondo di 20 milioni di euro.
«Sono vent’anni che si ripresenta lo stesso problema. E la risposta è sempre la stessa: se si sfora il tetto di spesa, la Regione rischia il commissariamento. Ma i nostri organici sono sottodimensionati del 30%» denuncia Camerotto.
Rivendicazioni che ieri sono state avanzate dalle quattro sigle sindacali in agitazione, ma che ripetono quelle già fatte proprie dai sindacati Anaao, Cimo e Nursing up, promotori dello sciopero del 5 dicembre e a loro volta pronti a scendere in piazza ancora, a gennaio.
Laura Berlinghieri
Il Mattino di Padova. La Nuova Venezia. La Tribuna di Treviso, Il Corriere delle Alpi