Non chiamatelo più «Pdl 23»: d’ora in avanti sarà la «legge regionale 19/2016». Fuori dai tecnicismi, all’1.20 di ieri notte il Consiglio regionale ha approvato la riforma sanitaria, voluta dal governatore Luca Zaia e riscritta dalla maggioranza e soprattutto dall’opposizione in 4 mesi, 37 sedute e 130 ore effettive d’aula, dove sono stati depositati (e poi variamente accolti, respinti, ritirati, tagliati) circa 2.700 fra emendamenti e sub-emendamenti. Numeri che danno la misura dell’imponenza dell’operazione, necessaria per istituire l’Azienda Zero e ridurre le Usl da 21 a 9, «pietra angolare di tutta la legislatura» secondo la definizione dello stesso presidente della Regione.
Zaia è apparso a Ferro Fini per la dichiarazione finale, dopo che i tosiani e il segretario nazionale leghista Gianantonio Da Re avevano stretto il «patto della soppressa» (ottima, assicurano i partecipanti alla merenda) che ha spianato la strada al via libera in notturna, spiazzando le capogruppo in viaggio Silvia Rizzotto (Zaia Presidente) e Alessandra Moretti (Partito Democratico) che avevano messo in conto il voto per martedì prossimo e non sono mai arrivate a Palazzo. I «sì» sono stati 27 (Lega, Zaia, Fi, FdI, Siamo Veneto), i «no» 17 (Pd, M5S, Tosi, Veneto del Fare, Moretti), presente ma non votante Marino Zorzato (Ap). Applauso liberatorio dai banchi della maggioranza, ma più stanchezza che altro, tanto che il brindisi è stato rinviato a ieri sera al K3 di Treviso, lo storico quartier generale del Carroccio dove leghisti e zaiani sono stati convocati per pianificare il dopo-riforma.
Inevitabilmente infatti dal 21 giugno al 20 ottobre l’attività consiliare è stata monopolizzata dalla gestazione di questo testo, uscito ben diverso rispetto a com’era entrato. «Se le leggi debbono arrivare in Consiglio e restare lì immacolate come sono, direi non avrebbe più senso fare le riunioni di Consiglio», ha osservato Zaia ringraziando la maggioranza («ha dato una straordinaria dimostrazione di compattezza») e dichiarando apprezzamento per l’opposizione («questo provvedimento ha colto quasi tutte le vostre istanze»).
Al riguardo il Pd si spinge oltre, rivendicando per sé e per il resto della minoranza il merito di buona parte della versione definitiva del provvedimento. «Come in una lunga partita di basket divisa in quattro tempi, abbiamo vinto il primo sull’Azienda Zero e il secondo sulla parte sociosanitaria, purtroppo abbiamo perso il terzo sulla ridefinizione delle Usl, ma abbiamo recuperato nel quarto portando a casa alcune importanti modifiche a vantaggio del territorio», dice Stefano Fracasso. «Meno male che ci siamo giocati il jolly, perché le 30 ore di discussione altrimenti concesse sarebbero state troppo poche di fronte all’atteggiamento approssimativo, superficiale e inaffidabile della maggioranza», aggiunge Bruno Pigozzo. «Ora chiediamo un’attuazione con pari dignità per tutte le aree, senza differenze tra figli e figliastri», auspica Graziano Azzalin. Claudio Sinigaglia amplia l’immagine familiare («Questa riforma è orfana e senza un padre ci consegna una sanità incerottata e indebolita») e annuncia «una verifica procedimentale» sull’attuazione del regolamento in particolare per il simil-canguro (accusa a cui il presidente Roberto Ciambetti risponde con un lapidario: «Democrazia è votare, tanto più al termine del più lungo dibattito che il Consiglio regionale abbia mai visto»).
Proprio il taglio degli emendamenti apre però un fronte all’interno dell’opposizione, con i tosiani che accusano i dem di aver fatto da stampella all’asse di governo nell’ultimo miglio: «Non avevamo più l’appoggio del Pd che si era lanciato come primo oppositore di questa riforma, ma che dopo alcuni incontri con la maggioranza ha improvvisamente deciso di sospendere la battaglia, lasciando correre tutti quegli articoli che fino a ieri i democratici puntavano come ingiustizie o giochi di partito», lamentano Andrea Bassi, Giovanna Negro, Stefano Casali e Maurizio Conte. Il Movimento 5 Stelle guarda e commenta: «La politica regionale si è accapigliata per mesi sulla sanità e non ha mai guardato alle reali necessità dei cittadini», sbotta il capogruppo Jacopo Berti, mentre Patrizia Bartelle e la deputata Silvia Benedetti bollano la legge come «una marchetta giocata sulla pelle dei veneti». Concorda il senatore centrista Antonio De Poli: «Altro che rivoluzione, hanno vinto i campanilismi».
Ma la maggioranza fa quadrato. «Abbiamo dimostrato unità, motivazione e determinazione», esulta Massimiliano Barison, leader di Forza Italia. Gli assessori quantificano i risparmi in 90 milioni l’anno. «Questa riforma non tocca i servizi e incide profondamente su burocrazia e costi», afferma Luca Coletto (Sanità). «Ci saranno più risorse per i servizi territoriali per infanzia, adolescenza, famiglia, disabilità», assicura Manuela Lanzarin (Sociale).
Il Corriere del Veneto – 21 ottobre 2016