Più che l’accetta, serve il cesello. Più che i tagli alla cieca, bisogna spendere bene e “fare efficienza”. Perché la riduzione dei servizi potrebbe provocare gravi ricadute sullo stato di salute degli italiani, a tutto danno delle «generazioni future» e dell’equità.
Mentre il professor Mario Monti mette proprio le parole chiave “equità e giovani” nella sua agenda di Governo, ecco che in curiosa coincidenza di tempi proprio dalla sua (ex) Università, la Bocconi, arriva una identica interpretazione sullo stato di salute del sistema sanitario nazionale e sulla ricetta per salvare il salvabile dell’universalità delle cure pubbliche. Una coincidenza, appunto. Ma in qualche modo quasi un programma di lavoro per il Governo dei professori.
Il rapporto «Oasi 2011» del Cergas Bocconi di prossima pubblicazione (anticipato dall’ultimo numero del settimanale «Il Sole-24 Ore Sanità»), non poteva arrivare in un momento più opportuno. Per un Ssn alle prese con l’applicazione della manovra estiva di tagli da 8 miliardi dal 2013 da concordare con le Regioni con un nuovo «Patto», come ha in mente Monti e come piace al ministro Renato Balduzzi, non è infatti escluso che qualche ipoteca in più anche dal 2012 sui conti di asl e ospedali possa essere richiesta dal Governo.
E non che di interventi non solo di semplice manutenzione abbia bisogno il Servizio sanitario nazionale, riconosce naturalmente l’analisi della Bocconi. Quei 38 miliardi di debiti accumulati nel decennio 2001-2010 la dicono lunga, ancora più se si considera che Lazio (13,38 miliardi), Campania (8,5) e Sicilia (4,3) hanno raccolto insieme il 70% del debito totale. Anche se intanto le razionalizzazioni sono avvenute (posti letto, ricoveri, personale), ma in un quadro di policy regionali non sempre avvedute che hanno scaricato sulle aziende sanitarie la difficile ricerca degli equilibri economico-finanziari. Resta così il nodo del gap Nord-Sud come «primo elemento di forte preoccupazione sotto il profilo degli equilibri economici di breve periodo», spiega la curatrice del rapporto, Elena Cantù.
Ma su un orizzonte temporale più lungo il rischio vero è «la probabile accumulazione di ampi “debiti impliciti” di cui dovranno farsi carico le future generazioni sotto forma di maggiori spese e/o di minori servizi», aggiunge. Ecco così che la sanità pubblica – per la carenza di risorse, per l’incapacità di spendere bene i fondi esistenti ma anche a causa dello scetticismo diffuso nel Ssn verso il project finance fin qui realizzato con esperienze anche negative – da una parte si trova alle prese con «l’esempio acclarato» del blocco degli investimenti, con tutte le ricadute del caso sullo sviluppo e sul rilancio.
E dall’altra deve affrontare il rischio «per ora soltanto presunto» di mettere in moto una spirale negativa di scelte e di azioni: l’impatto, cioé, che le iniziative di contenimento della spesa potrebbero avere sullo stato di salute dei cittadini tutte le volte che i tagli, anziché eliminare gli sprechi, comportino una riduzione dei servizi. Con un ulteriore pericoloso effetto a cascata: la messa in discussione dell’equità, «principio fondante del Ssn», proprio sull’altare «della necessità di tagliare la spesa».
di Roberto Turno (da Il Sole-24 Ore) – 23 novembre 2011