Michela Nicolussi Moro. «Non è giusto, se sono andato al Pronto Soccorso è perchè stavo male. Perchè devo pagare?». «Il dottore che mi ha visitato non è stato bravo per niente, non intendo tirare fuori soldi per una prestazione che non mi ha soddisfatto». «Non sono stato io a non pagare il conto, è mia moglie che abusa del Pronto soccorso perchè ha litigato con il nostro medico». «Non ce la faccio a onorare una parcella così alta, è troppo, non me l’aspettavo. La prossima volta starò più attento». Quattro lettere di ordinaria amministrazione per gli Uffici pubbliche relazioni delle aziende sanitarie venete, che stanno faticando non poco a recuperare il ticket evaso dal 2011 a oggi.
Si parla di un totale di circa 10 milioni di euro, con l’«acuto» di Padova che tra Usl 6 e Azienda ospedaliera somma oltre 3,6 milioni (820.000 euro l’una e 2,8 milioni l’altra), i 350mila euro richiesti dall’Usl di Verona a 4800 inadempienti, i 22mila avvisi inviati dalle Usl vicentine, i 100mila euro in recupero nel territorio dell’ex Usl di Chioggia, oggi accorpata alla Serenissima, che sta mandando la parcella non pagata a casa di migliaia di pazienti. Ma già si sa che, dato fisiologico, tra il 5% e il 10% della somma dovuta non sarà mai riscattata. Perchè gli evasori non sono più rintracciabili o sono morti.
E’ la motivazione più corposa del -12,7% di ticket incassati dal Veneto dal 2012 al 2016 segnalato dalla Corte dei Conti nell’ultimo «Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali». Significa aver perso 24.853.000 euro: l’introito dei ticket per la specialistica ambulatoriale e il Pronto soccorso (che li impone ai codici verdi e bianchi) è sceso da 195.498.000 euro a 170.645.000. Un trend assimilabile al -13% di media nazionale. «La compartecipazione alla spesa dei cittadini per le prestazioni sanitarie si compone, nel 2016, per il 96% dei ticket sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale e solo per il 3% dei ticket sulle prestazioni di Pronto soccorso — scrive la magistratura contabile —. Nel 2016 la voce in esame ha avuto un peso sul totale del valore della produzione pari all’1,12%».
Insomma su quasi 25 milioni di ticket non incassati, il 40% si deve all’evasione e il resto? «Una buona fetta va attribuita alla crisi economica che sta ancora attanagliando il ceto medio — spiega Giuseppe Cicciù, presidente regionale del Tribunale del Malato — sempre più italiani rinunciano a curarsi perchè non hanno i soldi per pagare il doppio ticket. Cioè fino a 36,15 euro di base più 10 di specialistica su ogni ricetta. A loro, e sono tantissimi, si aggiunge un numero considerevole di stranieri, nelle stesse condizioni di indigenza o senza il permesso di soggiorno». Questi ultimi rappresentano il maggior numero di non paganti al Pronto soccorso, che poi non è in grado di rintracciarne il domicilio per notificare il conto. «Noi dobbiamo garantire le prime cure subito, la richiesta di ticket arriva alla fine del percorso diagnostico e non siamo in grado di esigerlo immediatamente — spiega il dottor Maurizio Chiesa, segretario della Società italiana di Medicina di emergenza e urgenza e in servizio all’Usl di Padova —. Viene quantificato automaticamente dal sistema, però poi non sappiamo se il paziente vada a pagarlo alle macchinette o in Accettazione o meno. Certo è che quotidianamente il personale dei Pronto soccorso riceve pressioni dall’utenza affinchè non applichi interamente le tariffe previste, in effetti abbastanza alte».
Poi ci sono gli utenti che prenotano al Cup una visita o un esame e non si presentano, ai quali l’Usl di riferimento invia a casa il costo «intero» della prestazione, non solo il ticket. Come gli altri inadempienti hanno 30 giorni di tempo per pagare, dopodiché scatta la raccomandata seguita dalla cartella esattoriale di Equitalia, che raddoppia la cifra dovuta, perchè aggravata dalla sanzione prevista.
E ancora: la Regione segnala che soprattutto per gli esami di laboratorio (esami del sangue) sempre più veneti si rivolgono al privato puro, che costa meno rispetto al doppio ticket. Inoltre un 50% delle prestazioni di Radiologia è stato abbattuto per una migliore appropriatezza prescrittiva imposta ai medici di base, anche attraverso una delibera della giunta Zaia che invita al «ricorso alla risonanza magnetica per i pazienti di età superiore ai 65 anni solo nei casi in cui risulti effettivamente necessaria e dirimente nel processo diagnostico-terapeutico». Nel 2015, anno di approvazione del provvedimento citato, la Regione avvertiva: «Nel Veneto il tasso di risonanze magnetiche articolari e della colonna lombosacrale erogate per mille abitanti risulta superiore a quello rilevato in altre Regioni e in altri Paesi europei con sistema sociosanitario analogo al nostro, in particolar modo nei soggetti di età superiore ai 65 anni. Molte risonanze sono ad alto rischio di inappropriatezza, se ne rileva infatti una frequente prescrizione non giustificata dai quesiti diagnostico-terapeutici individuati».
La somma di tutti i fattori elencati ha abbassato le prestazioni specialistiche dai 65,4 milioni del 2015 ai 60,2 del 2016, con una perdita di 5,2 milioni di visite ed esami. Debito in parte recuperato nel 2017, anno in cui le prestazioni sono risalite a quota 61,1 milioni circa, per un +869.994.
Il Corriere del Veneto – 24 marzo 2018