Tra le richieste quello di non far andare in Piano di rientro o commissariare le Regioni che dovessero presentare conti in rosso. E poi: ripianare in 10 anni i disavanzi causati dal mancato ristoro dei fondi per il Covid, rivedere tetto di spesa per il personale e su privato accreditato, incremento retribuzioni e regole più stringenti per i medici a ‘gettone’. E poi sul payback dei dispositivi medici: “Se Governo vorrà revisionare norma dovrà garantire le coperture”. IL DOCUMENTO
«Se davvero il livello di finanziamento del SSN per i prossimi anni dovrà assestarsi al 6% del PIL, prospettiva che le regioni chiedono che venga assolutamente scongiurata, occorrerà allora adoperare un linguaggio di verità con i cittadini, affinché vengano ricalibrate al ribasso le «loro aspettative nei confronti del SSN. Saranno necessarie scelte dolorose, ma non più procrastinabili, al fine di evitare che le mancate scelte producano nel sistema iniquità ancora più gravi di quelle già presenti».
Senza fare distinzioni tra quelle a guida di centro destra e le quattro rimaste a traino del centro sinistra, le regioni l’hanno messa giù dura nel documento, approvato all’unanimità e presentato oggi pomeriggio al ministro della Salute, Orazio Schillaci e a quello dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «Non vorremmo che alla fine si debba constatare che l’intervento è riuscito ma il paziente è morto», afferma il coordinatore degli assessori regionali alla sanità, l’emiliano Raffaele Donini. Perché di soldi per la sanità nelle casse delle regioni ne mancano tanti: 5,2 miliardi solo a contare le spese sostenute per il Covid fino al 2021 non coperte dallo Stato, che ammontano a 3,8 miliardi, più il miliardo e 400 milioni di caro energia, sempre per il 2021. Poi c’è da considerare l’inflazione, che per il 2023 è prevista correre al 7% e «i costi sostenuti sempre per il Covid nel 2022 non coperti a livello centrale, che solo qui da noi in Emilia Romagna ammontano a 400 milioni», mette in chiaro sempre Donini. Infine il cosiddetto pay back. Lo sforamento di spesa per i dispositivi medici, cose che vanno dalle garze alle tac e alle risonanze, che sarebbe a carico delle imprese, che però non vogliono pagare. Sono altri 2,2 miliardi per il periodo 2015-2018, più un altro miliardo e 800 milioni stimati per gli anni successivi. «Su questo abbiamo chiesto a Giorgetti e Schillaci che se, come si percepisce, il governo verrà incontro alle imprese produttrici mitigando l’impatto del pay back sui loro bilanci, questo sconto non finisca però per gravare su quelli regionali», puntualizza sempre il coordinatore degli assessori.
Sui 5,2 miliardi di costi pregressi non coperti in pochi si illudono che il governo possa aprire i cordoni della borsa a tal punto. Per questo le regioni avanzano nel documento una proposta: «che il relativo impatto economico sia opportunamente “sterilizzato” ai fini della verifica dell’equilibrio economico-finanziario». «Per evitare ricadute pesantissime sull’offerta di servizi ai cittadini chiediamo che questi importi non corrisposti vengano spalmati in un piano di ammortamento almeno decennale e che non contribuiscono al calcolo del deficit che porterebbe altrimenti al commissariamento di molte regioni», spiega ancora più chiaramente Donini.
Anche perché, come si legge nel documento, «le Regioni ritengono inaccettabile il rischio di disavanzo e di potenziale commissariamento e la conseguente necessità di dover ridurre il livello di servizi da garantire ai propri cittadini causato da fattori non imputabili alla propria gestione bensì dal parziale ristoro dei costi covid e dei costi energetici».
Tra le richieste c’è poi quella di rivedere l’anacronistico tetto di spesa per il personale, ancorato ai livelli del 2004, diminuiti anche dell’1,4%. E per far fronte alle carenze in organico dei medici si rilancia l’idea di utilizzare gli specializzandi già dal terzo anno di scuola.
Schillaci dal canto suo chiede alle regioni di fare una ricognizione sui soldi fin qui non spesi per l’edilizia sanitaria, che ammonterebbero a ben 11 miliardi, mentre uno sforzo è richiesto anche per efficientare l’assistenza territoriale, in modo da fare filtro su ospedali e pronto soccorso.
Tutti temi messi sul tavolo di confronto apertosi oggi e che, conclude sempre Donini, «dovrà chiudersi entro aprile con l’emanazione di provvedimenti concreti». Pena il collasso del nostro Ssn, come vaticinato in premessa dal documento delle stesse Regioni.
Il documento delle Regioni:
La sostenibilità economico-finanziaria dei bilanci sanitari delle Regioni è fortemente compromessa da:
– Insufficiente livello di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, su cui grava, diversamente da quanto accade per le altre amministrazioni pubbliche, anche il finanziamento degli oneri per i rinnovi contrattuali del personale dipendente e convenzionato del SSN (e nell’anno 2023 anche dell’”emolumento accessorio”, pari al 1,5% del costo del personale dipendente e convenzionato, quantificato in oltre 600 milioni di euro)
– Mancato finanziamento di una quota rilevante delle spese sostenute per l’attuazione delle misure di contrasto alla pandemia da Covid-19 e per l’attuazione della campagna vaccinale di massa, per oltre 3,8 mld nell’anno 2021, a cui le Regioni hanno dovuto sopperire con risorse proprie al fine di garantire l’equilibrio di bilancio. Nel corso dell’anno 2022 i bilanci sanitari delle Regioni hanno comunque dovuto sostenere il mantenimento dei costi legati al Covid-19 connesso alla necessità di procrastinare le misure preventive, di sanificazione e di distanziamento adottate durante la pandemia, oltre alla esigenza di continuare a garantire l’attività delle USCA ed i servizi correlati all’attività vaccinale e di diagnostica (tamponi) soprattutto nella prima metà dell’anno 2022. Si è verificato nell’anno 2022, così come per l’anno 2021, un significativo scostamento tra le risorse attese dal livello nazionale e la stima di costi direttamente correlati alla gestione emergenziale e all’attuazione della campagna vaccinale. Tale minor finanziamento dei costi per fronteggiare l’emergenza da COVID -19 unitamente ai costi correlati alla contestuale campagna vaccinale ha contribuito all’attuale difficoltà rappresentata da diverse regioni.
Considerevole incremento dei costi energetici sostenuti delle strutture sanitarie e socio-assistenziali, pari a +1,4 mld rispetto all’anno 2021.
La situazione di estrema criticità sul piano della sostenibilità finanziaria per il 2022, che ha comportato, da parte di molte regioni, l’utilizzo di risorse proprie e straordinarie e pertanto irripetibili del proprio bilancio e per alcune regioni la difficoltà a chiudere in equilibrio nonostante l’impiego di tali risorse il bilancio 2022. Il livello del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale 2023 non è pertanto minimamente adeguato per consentire la sostenibilità della programmazione sanitaria.
Nell’anno 2022, oltre all’attuazione nella prima parte dell’anno della campagna vaccinale e al trascinamento dei costi Covid che le Regioni stanno ancora sostenendo (si pensi all’adozione di misure di precauzione e sorveglianza sanitaria) – solo parzialmente finanziati dal livello nazionale – si aggiungono i maggiori costi energetici. L’incremento dei costi energetici, peraltro, rischia di compromettere la realizzazione degli investimenti della Missione 6 del PNRR, la cui attuazione è seriamente ostacolata dal notevole incremento dei prezzi delle materie prime e dei materiali. Come noto, nell’anno 2022 l’Italia ha affrontato un fenomeno inflattivo a doppia cifra; l’inflazione attesa per l’anno 2023 è attualmente intorno al 7%.
Non poter disporre delle risorse sufficienti ad erogare tutta l’assistenza necessaria comporta, per la nostra sanità, il rischio, concreto, di non assistere le fasce più deboli della popolazione, con la compressione di un diritto essenziale costituzionalmente tutelato.
A ciò si aggiunga il recupero delle attività sanitarie, che oggi non riescono a essere erogate dalla sola sanità pubblica, per le quali è opportuno adeguare i vincoli di spesa della spending review (DL 95/2012), che fanno riferimento ad un volume di risorse che nell’anno 2011 era pari a circa 12 miliardi, riconoscendo la crescita del fondo sanitario nazionale indistinto avvenuta in questi anni.
Le regioni hanno più volte evidenziato come la chiusura in pareggio potrà avvenire da parte per alcune di esse utilizzando anche le risorse derivanti dal pay-back per dispositivi medici anni 2015-2018 ai sensi di quanto previsto dal DL n. 4/23. Pertanto, qualora la norma venga «revisionata» occorre il concorso di risorse nazionali a copertura per le Regioni che hanno usato le risorse ai fini del raggiungimento dell’equilibrio 2022.
Le Regioni ritengono inaccettabile il rischio di disavanzo e di potenziale commissariamento e la conseguente necessità di dover ridurre il livello di servizi da garantire ai propri cittadini causato da fattori non imputabili alla propria gestione bensì dal parziale ristoro dei costi covid e dei costi energetici. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di consentire alle Regioni di provvedere eventualmente ad un piano di ammortamento dei costi non coperti nel 2022 in un congruo numero di anni, attraverso il seguente meccanismo:
consentire che i disavanzi Covid si possano ripianare con un piano di ammortamento decennale (portati a nuovo quale perdita Covid nell’ambito del Patrimonio Netto)
precisare che i maggiori costi aggiuntivi sostenuti dai servizi sanitari regionali per effetto dell’attuazione delle misure di contrato alla pandemia e dei rincari energetici, per la parte non finanziata dalle risorse stanziate a livello nazionale, siano esclusi dalla verifica dell’equilibrio economico- finanziario delle Regioni ai sensi dell’art. 1, c. 174 della Legge 311/2004, fino a decorrenza del disavanzo presentato in sede di modello CE al IV trimestre 2022;
Tale proposta, consentirebbe alle regioni che ne dovessero usufruire di procedere nell’ambito delle azioni concordate nei Tavoli di Monitoraggio, alla predisposizione di un Piano di efficientamento e di ottimizzazione della spesa sanitaria regionale, senza compromettere la programmazione sanitaria per l’erogazione dei LEA ed il recupero delle liste di attesa per prestazioni specialistiche diagnostiche e chirurgiche enormemente dilatate in conseguenza emergenza pandemica.
Criticità riguardanti il personale sanitario
Individuazione degli ambiti in cui individuare le misure necessarie per superare criticità del personale dipendente del SSN
Carenza di professionisti
Incremento del fenomeno delle «dimissioni inattese», in particolare nell’ambito delle strutture dell’emergenza-urgenza;
Rigidità in termini di fissazione di limiti alla spesa complessiva e all’incremento dei fondi del salario accessorio
Negli ultimi anni, i limiti rigidi alla spesa di personale dipendente e all’incremento dei fondi, la scarsa attrattività del lavoro dipendente presso gli enti e le aziende del SSN hanno spinto le aziende stesse a forme di ingaggio attraverso affidamenti esterni con costi crescenti contabilizzati tra i costi dei beni e servizi, che risultano negli anni crescenti rispetto al costo del lavoro dipendente.
Pertanto si propone una revisione del tetto di spesa del personale
Fino al 2019 il fabbisogno di personale negli enti e aziende del SSN è stato condizionato da un tetto di spesa rigido (spesa anno 2004 – 1,4%).
Dal 2019 si attua un primo tentativo per rendere dinamico questo tetto (che si incrementa di un valore pari al 10% dell’incremento del fondo sanitario regionale).
Per superarlo definitivamente dobbiamo arrivare a una metodologia che definisca il fabbisogno effettivo di personale del SSN.
Nelle more vanno valutati ulteriori incrementi della flessibilità, per consentire l’applicazione omogenea di alcuni istituti (possibilità di incremento dei fondi in relazione all’incremento del personale in servizio).
Valorizzazione economica
La perdita di appeal del servizio pubblico necessità di misure urgenti di fidelizzazione del personale, tra le quali fondamentale è la valorizzazione economica e retributiva dei professionisti. L’appiattimento delle retribuzioni rende difficoltoso trattenere le migliori professionalità nel pubblico. E’ pertanto necessario innanzitutto ripensare il procedimento di approvazione dei CCNL, spesso in ritardo rispetto alle esigenze del sistema (il 2 novembre 2022 è stato sottoscritto il contratto del comparto sanità 2019-2021, siamo ancora lontani dalla sottoscrizione del CCNL della dirigenza sanitaria e della dirigenza Funzioni Locali) perché possa fornire strumenti per fronteggiare tempestivamente le problematiche
E’ inoltre necessario dotare di elementi di flessibilità la determinazione della spesa per il personale, e prevedere deroghe mirate al limite di incremento dei fondi contrattuali (oggi fissato al valore dell’anno 2016), anche affinchè la retribuzione possa essere parzialmente modulata per far fronte alle carenze (i concorsi in alcune discipline rimangono deserti anche per la non appetibilità della dipendenza pubblica)
Sempre per rispondere in maniera flessibile alle necessità emergenti nelle diverse realtà, occorre prevedere la possibilità di risorse aggiuntive regionali (nei termini già previsti dal patto per la salute 2019-2021),
L’incremento delle retribuzioni del personale potrebbe inoltre essere ottenuto attraverso la defiscalizzazione di quote di salario accessorio (come già previsto in alcuni settori del lavoro privato).
Valorizzazione professionale
Piena equiparazione degli incarichi gestionali e professionali in modo da disegnare percorsi di carriera per la dirigenza e il comparto (percorso già consolidato per la dirigenza sanitaria e avviato per il personale del comparto con i contratti del triennio 2016-2018 nonché confermato e ampliato per il comparto con il recente CCNL 2019-2021).
Aggiornamento e revisione dei profili degli operatori di interesse sanitario (a supporto di una professione infermieristica che si orienta verso ruoli più specialistici).
Sviluppo delle competenze avanzate per le professioni sanitarie (a partire dall’introduzione dell’IFeC operata dal DM 77/2022 e dal nuovo CCNL 2019-2021).
Focus sul clima organizzativo per favorire condizioni di lavoro e promuovere azioni che valorizzino e gratifichino i professionisti, ponendoli al centro dell’interesse aziendale come “capitale umano”.
Gli interventi straordinari richiesti dalle Regioni
Occorre procedere quanto prima all’approvazione di un pacchetto di interventi per far fronte alla carenza di personale soprattutto nelle strutture di pronto soccorso così come già formalmente proposto dalla Commissione Salute al Governo nel marzo e nel giugno 2022.
Si propone innanzitutto di raccogliere gli esiti del Tavolo di lavoro per l’accesso alle professioni sanitarie attivato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e del Tavolo di lavoro in materia di carenza di personale e di ricorso ad affidi esterni attivato dal Ministero della Salute a seguito delle istanze rappresentate con urgenza dalla Regioni e dalle Province Autonome.
Anche in considerazione del fatto che i contratti di formazione specialistica in medicina d’urgenza non vengono assegnati per il 50%, con la conseguenza che la carenza di questi specialisti perdurerà nel tempo, favorendo il fenomeno delle esternalizzazioni dei servizi sanitari, il cui utilizzo però deve essere governato e regolamentato attraverso la definizione condivisa di specifici criteri per garantire l’economicità dei contratti e la trasparenza delle condizioni di acquisto, per definire le specifiche tecniche, i prezzi di riferimento dei servizi medici ed infermieristici, i controlli che gli Enti debbono porre in essere.
Si propone di velocizzare e semplificare le procedure per il riconoscimento dei titoli esteri da parte del Ministero della Salute (anche considerata la proroga al 31/12/2025 della possibilità che sanitari esteri possano operare in Italia anche a prescindere da tale riconoscimento. Le procedure di riconoscimento potrebbero essere temporaneamente delegate a Regioni e/o Ordini).
Rendere strutturale la possibilità di assumere specializzandi dal terzo anno già prorogata al 31/12/2025 (anche prescindendo dall’obbligo di convenzione con gli atenei).
Velocizzazione e semplificazione delle procedure di assunzione attraverso la revisione dei regolamenti concorsuali (DPR 483/1997 e 220/2001).