Il taglio di 8 miliardi di euro alla spesa sanitaria previsto nel Def tra il 2015 al 2019 ha portato in piazza tutte le sigle sindacali dei medici. Medici e operatori provenienti da tutta Italia hanno gremito piazza SS. Apostoli a Roma rispondendo massicciamente all’appello della Fnomceo. «I medici veterinari pubblici sono in piazza oggi con i medici chirurghi per manifestare anche il loro disagio. – ha affermato il segretario nazionale Sivemp Aldo Grasselli – Abbiamo grossi problemi da un punto di vista organizzativo, dei finanziamenti, del rinnovamento del personale che non va in pensione e dall’altra parte non viene assunto. Abbiamo una stagnazione anche in termini organizzativi. Abbiamo bisogno di far cambiare le cose. Nell’anno in cui Expo esalta il principio del cibo sano, nutriente, disponibile per tutti rischiamo di allentare il sistema di garanzia e di tutela sulla sanità animale e sul controllo degli alimenti che gli animali producono, abbassando il livello dei servizi veterinari». Il video
Una manifestazione unitaria, che ha raccolto tutte le sigle, come non accadeva da diversi anni. Palloncini e bandiere hanno colorato il pomeriggio capitolino, mentre si mescolavano uomini e donne con differenti esperienze umane e professionali, ma accomunati dalla volontà di salvaguardare il Ssn pubblico e universalista. Dalle testimonianze raccolte dal palco dal giornalista Maurizio Martinelli è emerso il racconto collettivo di una professione sommersa dalla precarietà e dalla burocrazia, dalla crisi provocata dai tagli al fondo sanitario e dalla scomparsa degli investimenti in infrastrutture e tecnologie.
Una professione governata dalla politica e dallo spoil system, dai manager che guidano le Asl come se fossero industrie di scarpe e dal sistema di valutazione che, come all’università, vincola la libertà dei medici al rispetto di standard performativi.
Disparità territoriali, la crescente e soffocante burocratizzazione, la scarsità di personale e l’abuso di contratti atipici, una governance che mira quasi esclusivamente a contenere i costi: queste le principali criticità denunciate dai manifestanti. Dal palco, Roberta Chersevani, presidente della Fnomceo, ha evidenziato: “Il rischio è che venga alterata la nostra mission. Problematiche che chiedono una vicinanza costante ai pazienti, anche a fronte dell’invecchiamento della popolazione, non possono invece essere affrontate con efficacia e costanza da medici e operatori sanitari. Il problema delle lunghissime liste di attesa è sotto gli occhi di tutti. Oggi abbiamo costruito l’unità, al di là delle singole sigle, per ribadire al Governo che deve prestare maggiore attenzione verso quello che accade in sanità”.
Al centro della protesta due elementi: cancellare i tagli, investire nuove risorse sui territori, salvaguardare la centralità della relazione tra medico e paziente. «Diritto alla cura, diritto a curare, ministro Lorenzin diritto a cambiare» hanno scandito al megafono i medici della Fimmg di Bari. Un altro slogan diretto alla titolare del dicastero della Salute: «Il territorio, va potenziato ministro Lorenzin sarai abilitato». Infine il tema del rinnovo del contratto nella sanità: «Non vogliamo mance o elemosine come si prospetta nella legge di Stabilità — sostiene Massimo Cozza (Fp Cgil medici) — Abbiamo denunciato la mancanza di 5 mila medici per poter garantire la qualità delle cure ai cittadini. Per non avere medici stanchi che possono più facilmente rischiare errori, ci vogliono assunzioni».
Il decreto sull’appropriatezza che taglia 202 prestazioni di odontoiatria, genetica, radiologia diagnostica, esami di laboratorio, dermatologia allergologica, medicina nucleare e prevede sanzioni per chi non rispetta le norme ha fatto infuriare i medici: «Rivela un’ossessione prescrittiva che annulla la nostra libertà e danneggia i rapporti con i pazienti che devono essere personalizzati – sostiene Maria Luisa Agnese, medico poliambulatoriale a Roma – Noi ci ribelliamo al lessico da contabile erogatore di servizi usato nella sanità. Per noi i pazienti sono persone, non utenti».
Il blocco del turn-over ha peggiorato le cose: ha creato un esercito di precari tra i medici, ha allungato i tempi di lavoro degli assunti, costretti a raddoppiare le ore per supplire alla mancanza di personale. «Nei pronto soccorso la situazione è insostenibile – sostiene il dottor Nicolosi, anestesista a Modena – i medici diventano sempre più anziani, noi vogliamo lavorare con orari umani, il nostro benessere assicura quello dei pazienti». «Non abbiamo alcuna certezza per il futuro – racconta Francesca Giglio, medico precario di 42 anni – Tutti i giorni ci dedichiamo a questo lavoro con dedizione nonostante gli anni che passano».
Come nella scuola, anche nella sanità emerge la richiesta di stabilizzare i precari. Il precariato permette di risparmiare ai danni della salute della popolazione a beneficio degli algoritmi che governano i bilanci delle regioni. Anche gli infermieri si sono schierati contro la sospensione dei diritti riconosciuti dalla normativa europea contro l’abuso dei contratti a termine nella pubblica amministrazione. «Gli infermieri producono risparmi grazie a un super-lavoro e a un demansionamento costante – sostiene Andrea Bottega , segretario del Nursind – mentre ci sono 30 mila giovani neo-laureati disoccupati o che emigrano per trovare lavoro».
Sul tavolo il governo Renzi ha messo risorse per assumere o stabilizzare 4 mila persone. Non l’ha fatto di sua volontà, ma perché costretto da una direttiva Ue sugli orari di lavoro e di riposo. «Sono contenta per le assunzioni ma non bastano a risolvere i problemi — sostiene Roberta Chersevani — Vogliamo lavorare alla governance della sanità che deve essere modificata, abbiamo paura che il nostro sistema nazionale non ce la possa fare». Chersevani ha confermato lo sciopero dei medici del 16 dicembre. «Se non sarà sufficiente –ha aggiunto – potrebbero esserci altre giornate di mobilitazione».
Il resto del pomeriggio, è proseguito con le testimonianze di chi ogni giorno lavora in prima linea: dall’anestesista modenese, al medico specialista ambulatoriale romano, passando per gli infermieri. Gli interventi, che hanno coinvolto sempre operatori, e non dirigenti sindacali, sono stati inframezzati da numerosi contributi video riguardanti soprattutto le condizioni di lavoro del comparto e la percezione dei cittadini nei confronti della sanità italiana.
I manifestanti sono arrivati a Roma da tutta Italia per essere presenti alla mobilitazione. C’è persino chi non lavora in sanità, ma ha deciso di accompagnare amici e parenti perché la qualità dei servizi è una priorità di tutti i cittadini. Un’insegnante napoletana al fianco della sorella pediatra di base dell’Asl Na 1, per opporsi ai “continui e iniqui tagli che si stanno abbattendo persino sulla diagnostica clinica”. “Sono sempre più numerose le persone che non dispongono dei soldi necessari ad acquistare le medicine – ha raccontato la pediatra – e per questo sono spesso costretti a ricorrere agli antibiotici in modo inappropriato. Risparmiare sulla sanità è illogico, perché poi i costi si moltiplicheranno in futuro”.
Il problema delle risorse è probabilmente alla base di tutte le altre criticità. “Il sottofinanziamento del Ssn ha configurato un settore mantenuto in piedi solo dagli straordinari non retribuiti degli operatori – spiega un chirurgo ospedaliero veronese – a ciò si affianca la violenta ingerenza della politica nelle scelte professionali. E’ come se alla Fiat i politici decidessero come produrre una macchina e poi si lamentassero perché il veicolo non funziona. Non è un caso che il privato eroghi ancora prestazioni di buon livello mentre il pubblico sia in continuo peggioramento”.
Nel frattempo su uno schermo compaiono i tweet legati all’hashtag #iomimobilitoetu e i messaggi sono inequivocabili: “Alla sanità italiana occorre una radicale e immediata inversione di marcia”.
E nella piazza, accanto ai medici di tutta Italia c’erano i rappresentanti dei sindacati pronti a ricordare la sanità è in pericolo. “La mobilitazione dei medici, oggi vuole rendere pubblico il disagio della categoria professionale – ha ricordato Costantino Troise, segretario dell’Anaao Assomed – un disagio che nasce dalla sofferenza della sanità pubblica, una sanità impoverita dal punto di vista delle risorse economiche e di quelle umane e che taglia sempre di più quantità e qualità dei servizi. E se non si cambia a pagare saranno soprattutto i cittadini. La sanità è quindi in pericolo e quella pubblica sarà rilanciata solo se ai medici verrà dato un ruolo all’interno del sistema”.
Soprattutto i medici hanno voluto manifestare la loro vicinanza ai cittadini. “Vogliamo riportare il medico al centro del sistema salute – ha sottolineato Riccardo Cassi, presidente nazionale Cimo – e questo è un messaggio che vogliamo dare, chiaro e forte, al Governo, anche perché siamo gli interlocutori principali per dare forza a questo sistema essendo in prima linea per la tutela della salute dei cittadini. Per questo desideriamo essere ascoltati, così come vogliamo aprire un confronto con i cittadini per far capire che stiamo dalla loro parte e che soffriamo gli stessi problemi che soffrono loro”.
Tratto dal Manifesto e Quotidiano sanità – 29 novembre 2015