Ieri, in Senato, l’approvazione è saltata per la quarta volta (è mancato il numero legale), ma il decreto enti locali e relativo «recupero» di 10 miliardi di euro in cinque anni con la «riorganizzazione» della sanità dovrà essere convertito in legge entro il 19 agosto. Magari passando per la fiducia della Camera, che secondo il cronoprogramma del governo Renzi esaminerà il testo l’8 agosto.
Per il Veneto però poco cambia: una volta persi 240 milioni dal riparto del Fondo sanitario 2015 che a febbraio la Conferenza Stato-Regioni ha decurtato di 2,6 miliardi, altri sacrifici non ne può affrontare. «Già fatti», dicono in coro il governatore Luca Zaia e l’assessore alla Sanità, Luca Coletto.
E allora vediamo cosa prevede la manovra. Primo: appropriatezza delle prescrizioni. Il Veneto nel 2005 con la «delibera Tosi» ha introdotto il codice di priorità sulle ricette: urgente (accertamento da erogare entro 24 ore); A (entro 10 giorni); B (entro 30 se esame, 60 se visita); C (entro 180). Risultato: si è passati dai 73,6 milioni di prescrizioni del 2010 ai 60 milioni del 2014. Traguardo raggiunto anche grazie all’obbligo di scendere a 4 prestazioni specialistiche l’anno per abitante inserito negli obiettivi dei direttori generali delle Usl e a causa del ticket di 10 euro sulla specialistica, che tra il 2012 e il 2013 ha cancellato 5,5 milioni di visite. Secondo: taglio ai ricoveri inappropriati. Complice la riduzione dei posti letto da 21 mila a 17.500, dal 2010 le degenze sono scese del 13%, arrivando a 699.748 l’anno. La nostra regione ha il tasso di ospedalizzazione più basso d’Italia, pari a 101,2 per mille, contro un valore medio italiano del 115,9 per mille (però la durata dei ricoveri è più lunga: 6,8 giorni contro 7,9). Terzo: rinegoziazione dei contratti di beni e servizi. Fatto, con delibera regionale del 2010, che impone di arrivare a un -5%. Piuttosto si tenta ora di rivedere i canoni dei project financing: quello per l’ospedale all’Angelo di Mestre costa 12 milioni l’anno; per il nuovo polo di Santorso se ne sborsano 7; il complesso di Schiavonia ne vale 4 e il nosocomio di Montebelluna ne richiede 5. «Rivederli abbatterebbe la spesa di 300 milioni — assicura Claudio Sinigaglia (Pd) —. Cosa aspetta Zaia?».
Quarto: controllo della spesa farmaceutica. «Già scesa del 4,2% — precisa Coletto —. E poi abbiamo risparmiato 72 milioni con il progetto Escape, che consente di scaricare i referti sul proprio pc, e altri 3,2 milioni all’anno con la digitalizzazione della ricetta rossa. Insomma, il piano Renzi per noi è roba vecchia, l’abbiamo anticipato rispettando il decreto Balduzzi del 2012, altrimenti non saremmo stati scelti come regione Benchmark per l’introduzione dei costi standard. Se li applicassero non ci sarebbe bisogno di tutte queste misure, che comunque al Veneto non possono più chiedere. Abbiamo tagliato pure i primariati e ridotto il personale a quello del 2004 meno l’1,4%, dice impone la legge. E tutto questo chiudendo il bilancio con 4,3 milioni di utile». La Cgil però contesta: «La media delle retribuzioni degli infermieri è del 5% sotto la media nazionale. Il che si traduce in turni massacranti oltre il normale orario di lavoro, riposi saltati e una reperibilità che comporta una presenza superiore alle 12 ore».
L’altra nota dolente è la più odiosa delle misure contenute nel decreto: far pagare al medico e al malato le prestazioni giudicate inappropriate secondo gli standard comunicati a breve. Stessa mannaia scatterà per i giorni di ricovero «in più». «Le risorse sono limitate a fronte di una spesa sanitaria che aumenta del 4% all’anno anche in virtù del miglioramento delle tecnologie, ma il problema non si risolve attentando all’autonomia del camice bianco — osserva il professor Angelo Gatta, direttore del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova —. Non è certo un burocrate a potermi dire quanti esami o giorni di degenza disporre. Per agire sull’appropriatezza invece di proibire bisogna educare, cioè accrescere la professionalità della categoria e incentivare il dialogo con il paziente». «Far pagare a dottori e pazienti la presunta inappropriatezza è la strada migliore per distruggere il Sistema sanitario nazionale e avvantaggiare il privato — avverte Domenico Crisarà, segretario della Fimmg (medici di base) —. Si passerà dalla medicina difensiva a quella inoperosa e aumenterà la conflittualità tra noi e l’utenza». In effetti già il codice di priorità scatena lotte quotidiane, col risultato che decine di veneti hanno cambiato medico di famiglia. La giunta Zaia potrebbe però diminuire le Usl: oggi in commissione Sanità si parlerà di Azienda zero, che coordinerà la burocrazia e l’amministrazione delle 24 aziende sanitarie attuali. «E ci farà risparmiare i 240 milioni persi dal riparto nazionale — spiega Coletto —. E’ il primo passo verso il taglio delle Usl da 21 a 7, che vorremmo realizzare entro fine anno, quando saranno rinnovati i direttori generali».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 28 luglio 2015