Mentre il ministro della Salute, Orazio Schillaci, prova a tenere l’asticella della dote in manovra per la sanità a quota 3,2-3,5 miliardi, all’Economia si ragiona su scaglionare l’aumento del fondo sanitario, mettendo sul piatto per ora solo 2 miliardi e demandando il resto ad altri provvedimenti da varare in corso d’anno. Molto dipenderà anche dalle scelte in materia fiscale, visto che nella maggioranza c’è una forte pressione per trovare le risorse necessarie al taglio dal 25 al 23% dell’aliquota Irpef per i redditi da 15 a 28 mila euro. La coperta è corta, e in queste ore Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti stanno decidendo quali debbano essere le priorità.
Ma a individuare la mina che potrebbe far esplodere i conti del comparto è la Corte dei Conti, che nella sua relazione alla Nadef quantifica in oltre 6 miliardi lo sfondamento di spesa per i dispositivi medici, cose che vanno da Tac e risonanze a siringhe e tamponi. Un buco che potrebbe dare il colpo di grazia ai già malandati conti regionali, perché se è vero che metà dello sforamento di spesa andrebbe ripianato dalle aziende biomedicali, altrettanto lo sono le centinaia di ricorsi presentati dalle stesse al Tar contro il cosiddetto meccanismo del payback. Che ad avviso degli imprenditori li obbligherebbe a coprire disavanzi generati da un tetto di spesa sottostimato e da ordinativi di Asl e ospedali che vanno comunque rispettati se non si vuole incorrere nel reato di interruzione di pubblico servizio. «Nel 2019- rivela la magistratura contabile- la spesa per dispositivi medici è stata superiore al limite per 1,5 miliardi, importo che è divenuto superiore ai 2 miliardi annui nel triennio successivo». A questo punto, conteggiando le eccedenze a partire dal 2019, «anche trascurando i due esercizi più interessati dalla pandemia la somma degli scostamenti supererebbe i 6 miliardi di cui 3 a carico delle imprese», sottolinea la Corte dei Conti.
Il 30 ottobre scade il termine di pagamento degli sforamenti per il quadriennio 2015-18 e l’impressione è che poche aziende apriranno il portafogli. Così per evitare di scaricare tutti gli oneri sulle regioni si pensa di innalzare il tetto di spesa per la diagnostica di circa 600 milioni l’anno fino al 2026. In più si sconterebbe qualcosa dagli importi che le imprese sarebbero chiamate a ripianare. Ma è chiaro che questo toglierebbe risorse alle altre cose da fare per la sanità: aumenti per arginare la fuga del personale, riforma della sanità territoriale e piano anti-liste di attesa. Quest’ultimo sembra definito e punta sia sui sanitari dipendenti dell’Ssn che sul privato. A medici e infermieri verrebbe aumentato il compenso per gli straordinari, vincolato però all’abbattimento delle liste. Per i dottori si passerebbe da 60 a 100 euro l’ora e per gli infermieri da 25 a 50. Il tetto di spesa per il privato convenzionato dal 3% del fondo sanitario verrebbe portato al 3,5-3,6%, circa 6-700 milioni in più. Soldi che però sarebbero vincolati all’abbattimento dei tempi di attesa, per evitare che, come accaduto in passato, le regioni ne utilizzino una parte per ripianare i propri debiti. In più, dopo una fase di avvio, le risorse verrebbero erogate solo a fronte di una riduzione delle liste, mentre l’Agenas assumerebbe il ruolo di Authority, segnalando anomalie e ritardi nell’erogazione delle prestazioni o inadempienze da parte del privato a condividere le sue agende di prenotazione con i ReCup regionali.
Balla invece la detassazione al 15% dell’indennità di specificità medica, che prendono gli ospedalieri e sulla quale Schillaci punta per arginare la fuga dall’Ssn. Il piatto piange poi per la riforma della sanità territoriale. Il Pnrr ha finanziato con 7 miliardi le nuove strutture che dovrebbero avvicinare l’assistenza sanitaria con Case e Ospedali di Comunità. Le prime sono maxi ambulatori sempre aperti dove dovrebbero lavorare in team medici di famiglia, specialisti ambulatoriali, infermieri e tecnici sanitari, in modo da offrire anche accertamenti diagnostici di primo livello. I secondi, a conduzione infermieristica, sono riservati ai pazienti che possono essere dimessi dal reparto ma non ancora in grado di tornare a casa. Il Pnnr finanzia però solo le strutture, non il personale, per il quale non sembra esserci un euro. Qualcosa si farà per semplificare le procedure che dal 1988 ad oggi hanno incagliato tra le maglie della burocrazia 10 miliardi stanziati per l’edilizia sanitaria e che ora dovrebbero essere utilizzati dalle regioni per finanziare le 510 strutture tagliate fuori dal Pnrr perché non realizzabili entro il 2026.
https://www.lastampa.it/economia/2023/10/13/news/sanita_il_governo_a_un_bivio_tagliare_lirpef_o_finanziare_la_salute-13780471/?ref=LSHA-BH-P1-S5-T1