Se Silvio Garattini potesse, farebbe valutare i medici di medicina generale in base alla loro capacità di far calare il numero di fumatori e alcolisti tra i loro pazienti. E poi investirebbe nelle case di comunità e vieterebbe ai medici che lavorano nel settore pubblico di praticare l’intramoenia. A 94 anni, quasi tutti spesi a occuparsi di medicina, il presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri ha le idee chiare su come intervenire per risolvere i problemi della sanità pubblica italiana.
Ci sono stati 37 miliardi di tagli in dieci anni senza distinzioni tra partiti politici e il sistema sanitario arranca ogni giorno di più. Che fare?
«La questione non è così semplice. Nel Regno Unito si spende di più che in Italia ma la situazione è ancora peggiore. Non basta spendere, bisogna anche scegliere con attenzione come si spende».
Che cosa propone?
«Non c’è dubbio che medici e infermieri sono sottopagati rispetto ai loro colleghi europei. Mancano 80 mila infermieri, in molti scelgono di andare a lavorare nel privato dove possono guadagnare di più. Bisognerebbe aumentare le remunerazioni di tutto il personale sanitario del 30 per cento. In cambio, però, bisogna chiedere che all’interno del sistema sanitario nazionale si rinunci all’intramoenia perché sta diventando uno scandalo. Nel sistema pubblico le liste d’attesa sono lunghissime. Se invece si fa ricorso all’intramoenia, dopo una settimana si ottiene l’appuntamento. Tutto questo è contro la Costituzione che afferma che tutti i cittadini hanno diritto alla salute».
Stipendi più alti in cambio dell’esclusiva per lo Stato?
«Bisogna cancellare questo scambio tra pubblico e privato. I dipendenti pubblici non devono svolgere attività al di fuori del settore pubblico. In nessuna azienda si lavora un po’ dentro e un po’ per un concorrente. E bisogna ottimizzare l’impiego dei medici. Ci sono medici di medicina generale che non sono dipendenti del sistema sanitario nazionale. È assurdo».
Secondo i medici di medicina generale, se fossero assunti verrebbe meno la libertà dei pazienti di scegliere da chi farsi seguire, l’assegnazione avverrebbe attraverso le Asl.
«È un vero problema che i medici di medicina generale non vogliano far parte di un sistema che potrebbe consentire l’avvio delle case di comunità, che sono state sperimentate con successo in diverse zone d’Italia e permetterebbero di avere ambulatori sempre aperti a disposizione dei cittadini. È un argomento che dobbiamo affrontare per aumentare la produttività e la disponibilità e risolvere i problemi delle liste di attesa che pesano soprattutto su chi ha di meno».
Oltre a intervenire sugli stipendi del personale sanitario andrebbe garantita una maggiore presenza di strutture sul territorio. Negli ultimi dieci anni hanno chiuso 111 ospedali e 113 pronto soccorso.
«La soluzione non passa attraverso un maggior numero di ospedali ma attraverso il potenziamento delle case della comunità che prevedono la presenza nello stesso centro di 15-20 medici con diverse specialità, dai medici di medicina generale ai pediatri, specialisti ambulatoriali, infermieri e psicologi. Sono le strutture che possono decongestionare i laboratori degli ospedali che devono, invece, avere compiti più specifici».
La sanità sconta anche un problema di formazione. Mancano le risorse per finanziare le borse di specializzazione.
«Le nuove generazioni sono sempre meno interessate a specializzazioni che prevedono un impegno molto più gravoso come anestesia, chirurgia, medicina d’emergenza. Preferiscono dermatologia, oculistica o otorinolaringoiatria dove il tipo di vita è più tranquillo. Bisognerebbe smettere di chiedere a chi svolge queste professioni una dedizione da missionari e differenziare le retribuzioni, garantendo stipendi più elevati a chi svolge attività che richiedono maggiore impegno».
È d’accordo sul numero chiuso per gli studenti che scelgono medicina?
«Il problema non è il numero chiuso ma avere delle università in grado di formare gli studenti in modo più efficiente, moderno. Invece mandiamo i giovani a studiare vecchi programmi dove domina il mercato delle cure. Per alcuni tipi di malattie è giusto ma in altri casi si dovrebbe anche affiancare lo studio della prevenzione: non la si studia mai. Si insegna ai medici come fare prescrizioni di farmaci e come fare operazioni chirurgiche, ma non si insegna come evitarle. Io darei premi alle Regioni dove le condizioni di salute dei pazienti migliorano e valuterei i medici di medicina generale sulla base di chi è riuscito dopo alcuni anni a far calare tra i propri pazienti il numero di fumatori, alcolisti e obesi».
E ai politici che cosa chiede?
«Di avere più coraggio nel risolvere i problemi della sanità. La salute è un aspetto fondamentale: porta economia, sviluppo, benessere».
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