Per la sanità con i medici in fuga, le liste d’attesa che trasformano in un diritto di carta quello alle cure gratuite per tutti e una innovazione tecnologica che stenta ad entrare nei nostri ospedali si profila una manovra old style. Di quelle fatte con “zero euro” e “razionalizzazioni” della spesa, che tante volte in passato si sono trasformate in “razionamento” dei finanziamenti più che in lotta agli sprechi. Perché soldi da spendere in manovra ce ne sono pochi e quelli che al Mef si sta cercando di racimolare andranno soprattutto al taglio del cuneo fiscale, lasciando a mani vuote i ministri che prima della pausa estiva si erano recati in processione dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, con la loro lista della spesa. Così aveva fatto anche il ministro della Salute, Orazio Schillaci, entrato in Via XX settembre con 4 miliardi di euro in richieste per estendere a tutti i medici gli incentivi riservati per ora solo a quelli dei pronto soccorso e che ne era uscito con la promessa che a quelle cifre non ci si poteva proprio arrivare, ma a 2,5-3 si.
E invece ora quei soldi l’ex rettore d Tor Vergata prestato alla politica dovrà cercare di racimolarli tagliando i rami secchi della “sua” sanità. Sempre che ce ne siano ancora dopo 37 miliardi di tagli in 10 anni. Impresa improba, che rischia di portare al collasso la sanità pubblica, visto che 15 dei 130 miliardi di fondo sanitario nazionale se li è già mangiati l’inflazione.
Ma sia i tecnici della Salute sia il Centro studi di Fratelli d’Italia, che ha nella deputata Ylenja Lucaselli la sua testa di ponte con il Tesoro, si sono già messi al lavoro per individuare le sacche di spreco su cui intervenire. Viene invece liquidata dall’Economia come una «balla agostana» l’idea di introdurre come per le banche una tassa sugli extraprofitti delle case farmaceutiche. Che avrebbe significato poi colpire Pfizer e Moderna che di incassi ne hanno fatti a palate con i vaccini anti-Covid. Una mossa ad alto rischio di incostituzionalità oltre che di ritorsioni da parte delle stesse case farmaceutiche in caso di nuove emergenze sanitarie che richiedessero l’uso di antidoti.
Così per abbattere le liste d’attesa Schillaci ha rispolverato vecchie formule. «Per ridurle non basta mettere soldi, bisogna razionalizzare e cercare l’appropriatezza delle prescrizioni», va ripetendo da un po’ di tempo a questa parte. Rimarcando che «ci sono tante persone che fanno esami inutili mentre chi sta male e ne ha realmente bisogno aspetta un sacco di tempo per fare accertamenti importanti». Da una ricognizione fatta dai suoi tecnici risulta che almeno il 20% degli accertamenti prescritti nelle ricette a carico del Sistema sanitario nazionale (Ssn) sono inutili. Detta così non fa forse un grande effetto ma parliamo di 8 milioni di tac, ecografie, radiografie e altri esami per i quali oggi gli italiani attendono mesi se non anni. Solo di risonanze in eccesso se ne conterebbero 700mila. Che qualcosa non torni lo dicono i confronti regionali: se in Veneto le risonanze muscolo-scheletriche sono 15,2 ogni mille abitanti, in Toscana e nel Lazio non si arriva a 10 contro una media nazionale di 11.
A luglio, a soli sette mesi dal suo varo, il decreto Appropriatezza venne di fatto messo in soffitta dal Dpcm sui nuovi Livelli essenziali di assistenza, che limitava a 40 le prestazioni soggette a limitazioni, abrogando tra l’altro le sanzioni a medici e manager di Asl e ospedali.
Che si riesca oggi dove si è fallito allora è tutto da vedere, mentre la fuga di medici e infermieri dalla sanità pubblica procede inarrestabile in assenza di gratificazioni economiche, così come senza un potenziamento dell’offerta pubblica continuerà a crescere il ricorso alla sanità privata, che costa oramai agli italiani 40 miliardi di euro l’anno.
Nonostante questo la parola magica “razionalizzazione” verrà pronunciata in manovra anche per cercare di mettere ordine a reparti e sale operatorie negli ospedali. Che sono si sempre più a corto di letti, ma che secondo i numeri che stanno scandagliando i tecnici del dipartimento Programmazione della Salute sono paradossalmente utilizzati appena al 30% in alcuni reparti. Questo mentre in altri si scoppia, con tassi di utilizzo che arrivano al 120%. E lo stesso dicasi per le sale operatorie, in alcuni casi chiuse o attivate solo in parte.
Come mettendo ordine a questi squilibri si possano ricavare soldi per dare ossigeno alla sanità esangue è però un’altra storia. Già vista.
PAOLO RUSSO, LA STAMPA