Pagare nei tempi porta benefici al sistema. La frase può apparire provocatoria in un Paese dove la sanità pubblica arriva a saldare le fatture a 1.600 giorni e in cui il debito con le imprese si aggira sui sessanta miliardi.
Lungi dall’essere una provocazione, però, l’affermazione è il risultato dell’analisi del Financial Intermediation Network of European Studies (Finest), che ha misurato la maggior ricchezza del Paese nel caso in cui l’amministrazione pubblica pagasse nei tempi previsti dalla direttiva europea. Tre i benefici conseguenti: uno diretto, legato all’incasso nei tempi delle imprese creditrici; uno indotto, legato ai maggiori redditi per le famiglie (delle imprese creditrici e di quelle che le forniscono); uno dinamico, costituito dai minori fallimenti delle imprese creditrici per mancanza di liquidità. Dalle due simulazioni – una che ha ipotizzato pagamenti a 30 giorni e l’altra a 90 – emergono numeri importanti (si veda infografica). Se nel 2011 in Italia la Pa avesse pagato a 30 giorni, infatti, il Pil del Paese sarebbe stato dello 0,83%, invece che dello 0,5%, con un beneficio in valore di 5,3 miliardi di euro. Un vantaggio rilevante per un Paese in recessione che continua ad avvitarsi intorno ai propri debiti. Anche ipotizzando tempi meno ristretti (i 90 giorni attualmente in uso, ma quasi mai rispettati), il beneficio sarebbe comunque importante: 3,2 miliardi in più per un Pil dello 0,7% (con un vantaggio di 0,2%).
«Il problema del Paese – spiega Alessandro Carretta, ordinario di Economia degli intermediari finanziari presso l’Università di Roma Tor Vergata e segretario generale di Assifact – è legato soprattutto al debito pregresso, una zavorra accumulata negli anni e difficile da cancellare. Questo studio, però, dimostra quanto sia importante oggi adeguarsi ai tempi di pagamento europei: rispettando le scadenze, infatti, si realizzerebbe un effetto virtuoso che contribuirebbe a rimettere in moto l’economia».
Pagare in ritardo, inoltre, genera spesso una maggiorazione dei costi. Il prezzo dello stesso bene, infatti, può variare in base ai tempi di pagamento perché incassare con molto ritardo per un’impresa equivale ad aumentare la propria esposizione finanziaria, una situazione che ha un costo che, necessariamente, si ripercuote sul prezzo del bene o del servizio venduto.
«Una deviazione del mercato che non può essere tollerata – spiega Stefano Rimondi, presidente di Assobiomedica, associazione che raccoglie imprese spesso clienti dello Stato in un’area, quella sanitaria, che registra pagamenti in patologico ritardo –. Il prezzo deve essere slegato dal tempo di pagamento che, invece, deve essere certo e seguire i tempi indicati dall’Europa. In caso di ritardato pagamento, poi, sono gli interessi di mora che devono ripagare il “disagio” dell’impresa».
Se da un lato la posizione dell’associazione è condivisibile, dall’altro si può comprendere come per piccole imprese attive in mercati ristretti e “malati” diventi impossibile mantenere inalterati i prezzi in presenza di grandi ritardi, con l’inevitabile conseguenza che chi paga tardi spende di più.
Ma quali resistenze impediscono che si applichi un sistema virtuoso che produce risultati certi? Le difficoltà sono certamente legate alla mancanza di risorse per saldare debiti passati e presenti. In occasione di una discussione del Ddl comunitaria in commissione Bilancio, e proprio all’indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dello Statuto per le imprese, la Ragioneria dello Stato evidenziava infatti «i profili di indubbia onerosità per la finanza pubblica» della direttiva europea sui pagamenti. L’introduzione dei nuovi termini – si legge in una nota – «darebbe luogo al conseguente addebito di interessi moratori a carico dell’erario, con grave pregiudizio per gli equilibri di finanza pubblica». Morale: meglio «rinviare il recepimento della direttiva con facoltà di escludere dalla stessa i contratti stipulati anteriormente a tale data».
ilsole24ore.com – 14 maggio 2012